Conquistata con due partite di anticipo la qualificazione agli ottavi di Champions League, Luciano Spalletti ha lanciato una frecciata a Capello, diventato opinionista televisivo (Sky Sport) dopo aver vinto tutto nella sua carriera da allenatore. «L’altra volta mi hai detto che sono un attore (era accaduto dopo il 6-1 ad Amsterdam, ndr). Io l’ambiente di Napoli lo conosco, voi no. Qualche volta mi fa comodo fare l’attore, faccio quello che mi conviene». Indossare una maschera anche nei giorni delle vittorie. In questo Spalletti ricorda l’allenatore che è entrato nella storia azzurra per aver vinto il primo scudetto col Napoli: Ottavio Bianchi.
Non è un caso che due anni fa Bianchi abbia intitolato “Sopra il vulcano” l’autobiografia scritta con la figlia giornalista Camilla. Il vulcano è Napoli, è il Napoli, è la piazza in cui spesso risulta difficile trovare un punto di equilibrio per lo smisurato amore nei confronti della squadra. Bianchi, rispetto a Spalletti, aveva il vantaggio di conoscere l’ambiente perché era stato calciatore azzurro e quando, nell’inverno dell’85, incontrò Ferlaino e il suo nuovo consulente Allodi che gli offrivano la panchina a partire dalla successiva stagione fu chiarissimo. Nell’autobiografia Ottavio ricorda il discorso che fece: «In quella incredibile città si passa dall’esaltazione allo scoramento in un battito di ciglia. Per ottenere un risultato si deve lavorare un anno, non una settimana. La squadra deve dipendere solo da me. La mia conduzione sarà “terroristica”». Indossò una maschera, si isolò in un albergo del lungomare dall’autunno ’86, dopo l’eliminazione dalla Coppa Uefa e le voci fatte circolare sul suo esonero, e condusse il Napoli alla vittoria. Lavorando tanto e concedendosi pochi sorrisi, ancor meno distrazioni. E chi ha conosciuto bene Bianchi sa quanto lui sappia essere divertente fuori dal contesto professionale e quanto sia tuttora profondamente legato a Napoli e al Napoli. Un uomo del Nord che ha fatto sua la filosofia napoletana.
Spalletti sollecita fin dai primi giorni di lavoro l’attenzione e l’affetto dei tifosi ma è rimasto colpito dalla reazione di una parte della piazza dopo la sconfitta ad Empoli che a fine aprile chiuse il discorso scudetto per gli azzurri. Vide un accenno di contestazione davanti all’albergo del centro storico che ospitava il ritiro della squadra e ascoltò qualche fischio al Maradona durante la partita (stravinta) contro il Sassuolo. Lui le pressioni le ha vissute in altre due grandi piazze, Roma e Milano. Riteneva che la conquista del posto Champions potesse soddisfare Napoli. Fece anche lui un errore di comunicazione e infatti di scudetto non ha parlato in questa stagione, al contrario dei messaggi lanciati nella precedente. Anzi, su Youtube circola ancora la sua smorfia in una conferenza stampa quando ascoltò De Laurentiis tirare fuori quella parola e successivamente aveva precisato che l’obiettivo - «difficile da raggiungere» – era arrivare tra le prime quattro.
E allora, come l’illustre collega che vinse scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa, Spalletti mette una maschera o prova a cambiare discorso davanti alla città che sogna.