Chissà se fa l’attore quando prende la penna, la maneggia e la mette in bocca quasi fosse una sigaretta. O chissà se recita quando abbraccia Raspadori, sorride sornione e ammicca alla sala. Certo, l’altra sera, scambiando qualche battuta con don Fabio Capello ha ammesso che «io l’ambiente di Napoli lo conosco, voi no. Qualche volta mi fa comodo fare l’attore, faccio quello che mi conviene». In effetti è solo un’ammissione.
Era chiaro a tutti che spesso dietro alcune smorfie, mezze parole, battute sottolineate con l’evidenziatore, frasi in spallettese, c’è una fase di studio e di preparazione. D’altronde, ha quasi sempre un foglietto che porta con sé, dove prende appunti. Non è ancora degno dell’Actors Studio ma ci si avvicina molto. L’uomo che a Milano era nel mirino per Icardi, che a Roma è stato visto (che roba assurda) come colui che ha accompagnato alla pensione Totti, dice che qui ha bisogno di tanto in tanto di indossare una maschera, di confondere l’ambiente «che io conosco». E che quindi ha bisogno di cortina fumogena, depistaggi, acqua sul fuoco o benzina sul fuoco a seconda dei casi. Magari, dietro l’ammissione dell’attore, c’è la voglia di prendere parte a qualche film di De Laurentiis.
Quando gli azzurri persero a Empoli, avvenne un gesto assai simbolico: i tifosi infuriati erano pronti a un lancio di uova al bus della squadra. Ma decisero, per rispetto al tecnico, di consegnargliele all’uscita dell’hotel. Un feeling che pure a Dimaro, nel pieno della contestazione anti-De Laurentiis, non è mai stato intaccato. Come quando richiamò il tifoso che insultava il patron e tutti lo applaudirono. «Vi faremo innamorare di nuovo di noi», disse. Missione compiuta. Spalletti ha sempre messo la faccia nell’estate del malcontento e del silenzio del presidente. Sempre. E non ha mai parlato a vanvera, ma sempre centrando il bersaglio. La prova che davvero ha capito Napoli. Dunque, non stupisca che dica che c’è bisogno di interpretare qualche parte di tanto in tanto. Una vittoria porta alle stelle la città, la sconfitta avvilisce. Spalletti non vuole rivivere l’angoscia post-Empoli, quel clima da fallimento per un terzo posto che venne vissuto come una sciagura. Chissà come si sarà sentito, Spalletti, vedendosi raffigurato in quel modo da Tognazzi nella serie tv “Speravo de mori’ prima”.
Al cinema è facile che la rappresentazione si sovrapponga alla realtà, che lo spettatore meno avvertito non distingua il confine sempre più labile tra finzione e cronaca. Nel calcio, stupisce se c’è chi prova a farlo. Ma il mister qui a Napoli difficilmente sbaglia un colpo: fa l’attore quando dice che Kvara la palla deve passarla di più? Certo, recitava quando dava le testate sul tavolo ai tempi della Roma. Ma qui, quando ha fatto l’attore? Quando dice, per esempio, che solo a Napoli ci si impegna a capire chi gioca titolare e chi no (tutto il mondo è paese, e Lucianone lo sa benissimo)? O quando risponde che mica è in grado di sapere se questa mentalità vincente del Napoli è motivo di orgoglio per il depresso calcio italiano? La verità è che ha capito che qui il passo è breve tra l’essere considerato un eroe o un fallito. Lo ha capito e la cosa gli pesa. E allora, ecco che lasciando da parte la voglia di essere poeta, ogni volta ricorda le difficoltà della stagione, il fatto che mica c’è solo il Napoli nella lotta per lo scudetto. E chissà se pure è stata una recita, questa sì da Oscar, quando disse «volete lo schemino di chi è andato via e di chi invece è venuto?». Certo, si prepara sempre le cose. Difficile che azzardi o improvvisi. Non è Totò, ha un copione e lo segue. «Sono uno sciamano e tiro a vivere», disse in una lezione all’Università. «Ma io lezioni non le so dare a nessuno», sbottò dopo i 6 gol sul campo dell’Ajax. La frase più bella, da attore consumato, non ce ne voglia, resta quella tipo Gladiatore: «Uomini forti, destini forti, uomini deboli, destini deboli. Non c’è altra strada». Sarebbe triste scoprire che pure questa frase era una recita da attore consumato.