Ajax-Napoli, il derby di Krol: «Ma attenti ai gioielli d’Olanda»


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«Questo Ajax non è come il mio che rivoluzionò il calcio mondiale, ma è una squadra giovane che può mettere in grande difficoltà il mio Napoli». Già, Ruud Krol, una vita con la maglia dei Lancieri ospite d’onore del club olandese per il match di domani dice sempre «il mio Napoli». Perché quei quattro anni lo hanno segnato per sempre. La partita del cuore per il tulipano d’oro. Una vita passata tra Ajax e Napoli. E c’era in campo pure nell’unico precedente, quello del 1969 in Coppa delle Fiere.

Che ricordo ha di quella sfida?
«Stadio Olimpico, perché per le gare europee lasciavano il mitico de Meer per giocare lì. Si gelava, il campo era per metà ghiacciato e per l’altra metà morbido. Juliano mi confidò che non sapeva neppure lui come correre nella maniera giusta, tanti azzurri erano coperti come se dovessero andare a sciare e io pensavo: Ma come fanno a giocare conciati in questa maniera?. Andiamo ai supplementari e noi vinciamo con una tripletta di Suurendonk, un difensore, che era appena entrato. Passammo il turno e andammo a festeggiare».

E come?
«Quando si giocava il mercoledì in Coppa, Michels ci lasciava liberi per una mezza giornata. E andavamo ad ascoltare musica rock. C’erano un paio di posti di ritrovo fissi. La Bottega Jopman, nel centro di Amsterdam, era uno di questi».

Ora le squadre non vanno più nei bar assieme?
«In Olanda, forse, può ancora succedere. A Napoli impossibile per l’amore dei tifosi. Ma mi sono bastati i primi minuti in aeroporto a Capodichino, dopo un viaggio di 26 ore da Vancouver per capire che la mia vita sarebbe cambiata. E devo dirlo: in maniera meravigliosa».

Che gara attende il Napoli?
«Difficile. Ma l’Ajax di oggi non è una corazzata: vende i calciatori migliori, non si fa scrupoli. E poi lancia i giovani: se guardate i difensori di adesso, sono tutti under 22 come Timber, Bassey. Solo Bind ha 32 anni. L’Ajax ha ceduto tanto questa estate, proprio come il Napoli: Antony, Martinez, Haller, Granvenberch. E ha investito in giovani talenti. Ma è la cosa giusta da fare: se sono bravi, giusto farli giocare».

Lo fece anche Michels con lei?
«Proprio così. Il sabato pomeriggio avevo giocato con la seconda squadra dell’Ajax e il mio allenatore mi disse che avrei giocato il giorno dopo con la prima squadra. Bene, pensai, andrò in panchina: a 18 anni, entrai al de Meer, lessi il foglietto della formazione ed ero titolare. Esordio da terzino sinistro».

Capelli lunghi, passaggi corti: 50 anni fa vincevate l’Intercontinentale.
«Ricordo bene, i medici e molti dirigenti dell’Ajax non volevano andare in Argentina a giocare la finale. Avevano davanti a sé le immagini delle botte e delle ferite rimediate da Prati e da quelli del Milan tre anni prima e ci volevano impedire di contenderci quella coppa da campioni del mondo. Io, Cruijff, Hulshoff, Haan, Neeskens, Swart ci riunimmo e andammo a parlare con il presidente: Non ci potete fare questo, sappiamo come difenderci. Li facemmo cambiare idea e battemmo l’Indipendiente. Lo so, abbiamo fatto una rivoluzione, ma l’ho capito dopo, molto tempo dopo».

Ha vinto tutto nella carriera eppure…
«Vero, ma ho due rimpianti: i secondi posti ai Mondiali di Germania e di Argentina e lo scudetto sfiorato nel Napoli nel 1981. Rovinammo tutto in quel pomeriggio con il Perugia».

Che Napoli ha visto col Torino?
«Non c’è gara degli azzurri che non vedo. Ammiro Spalletti, si vede che è uno che sacrifica le proprie idee per esaltare le capacità dei suoi calciatori. Da difensore, mai avrei immaginato che Kim avrebbe avuto un impatto così devastante sulla serie A: non sbaglia un intervento, legge in anticipo ogni cosa. Forse perché ormai da voi sono tutti stranieri, quindi è più facile capirsi…».

Lei ebbe problemi invece?
«Il mio esordio fu ad Ascoli e io faticavo a farmi capire da Bruscolotti e Marangon. Urlavo come un dannato fiori fiori… Loro si guardavano perplessi: volevo dire fuori. Ora parlano tutti in inglese, è semplice anche adattarsi rapidamente».

Come è cambiato il calcio adesso?
«Noi eravamo considerati la squadra del ghetto, il club ebraico. Eppure mai in uno stadio in quegli anni ho sentito un insulto o un coro razzista o antisemita. E vincevamo ovunque. Ed è per questo che spesso inorridisco quando sento gli insulti contro i napoletani o quegli odiosi cori che inneggiano all’eruzione del Vesuvio».

Krol, cosa è per lei Amsterdam?
«Io sono nato nel quartiere Noord, quella è la mia città anche se ho scelto di vivere al caldo, in Spagna. Ma è la città dove ho iniziato a giocare a calcio, dove ho vinto tutto, e dove mio padre Kuki, che da partigiano ha fatto nascondere decine di ebrei ha ricevuto la croce della resistenza dalla città di Amsterdam. L’Ajax è stato figlio di una città che era simbolo dei movimenti di protesta. Al contrario di adesso, tanti giocatori erano di Amsterdam, anzi nel vivaio venivano reclutati solo ragazzi che abitavano al massimo a 100 chilometri. E altri, stavano là da quando avevano sedici anni. Si finiva col frequentarsi anche fuori dal calcio. Ora al massimo si resta due o tre anni».

E Napoli cosa è stata per lei?
«La gioia. Mai avrei pensato che il mio cuore sarebbe stato rapito da quella città. Domani sarò allo stadio di Amsterdam, ma la prossima settimana verrò al Maradona. Questo Ajax-Napoli non voglio perderlo per nulla al mondo. Anche se so che nella mia testa ci saranno tanti ricordi».

Chi può decidere il match?
«Ho visto Anguissa in azione. È in uno stato di forma incredibile. Domani potrebbe essere devastante con la sua fisicità e la sua corsa. Sembra proprio una gara ideale per lui». 

From: https://www.ilmattino.it/sport/sscnapoli/ajax_napoli_intervista_ruud_krol_cosa_ha_detto_oggi_ultime_notizie-6964693.html

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