Grintoso, furioso, estroso, al novantaduesimo e con i crampi ancora vuole segnare dopo una doppietta, questo è Giovanni Simeone. Che poi esce dal campo e torna mite, anzi esce dal campo, tra primo e secondo tempo, e col suo nome sulla partita cerca quella del padre, Diego, e si rammarica perché perde, ma intanto lui ha battezzato quella del Napoli, un gol di destro e uno di testa, e due incursioni tra le linee. Un cross per lato per terzino, Di Lorenzo e Rui, ormai due certezze assolute, nel caos difensivo dei Rangers. Ma Simeone è un’altra storia, gioca con la rabbia di Osimhen, va su ogni pallone, lotta, e vince, contrasta e vince, spinge e vince, dribbla e vince, stoppa e segna, così fa il primo gol. Stoppa di sinistro e infila di destro il vecchio e glorioso Allan McGregor. È un duello di sera il suo, non contro gli scozzesi, ma contro il tempo e se stesso, vuole segnare tanto, vuole stare al centro dell’azione, e non è l’unico. Ci deve essere una forza contagiosa che ha toccato tutti, perché Raspadori fa recuperi in ripiegamento dopo trenta e quaranta metri di corsa, nessun pallone deve andare perduto. Mentre Simeone si produce in spunti brevi e rapidi dribbling, e poi in un tuffo che mette in porta di testa il secondo gol, col vecchio glorioso Allan McGregor che diventa il povero vecchio e glorioso Allan McGregor, un po’ stropicciato, che vede anche passare un tiro di Ndombele che gli lascia il ronzio della traversa nelle orecchie. Mentre davanti agli occhi ha sempre l’ombra di Simeone, che ronza in area e non la passa a nessuno, perché vuole segnare anche il terzo gol, e ci proverà fino a quando gli reggeranno le gambe e le caviglie, in uno sforzo che dice: Torno in panchina sì, ma quanto ci siamo divertiti, eh? Sì, molto, perché per ogni sua incursione si sente la voglia dell’attaccante argentino di essere utile alla squadra, e lo strapotere della squadra che palleggia e spreca, tanto è una festa la Champions League.
Per ogni assalto di Simeone sembra di sentire i pazzi versi di Marinetti, perché il suo andare andare andare non contempla il domani, come il gioco dei bambini, anche perché il domani è di Osimhen, inteso come prossima partita da giocare, poi torneranno anche i giorni per Simeone, che intanto corre e corre e corre, e prova e riprova a segnare. E ogni discesa a porta è un quadretto felice che condivide con Raspadori, portandosi in campo anche l’abbraccio di Osimhen, e il palese divertimento di chi gli passa il pallone, oltre di tutti quelli che guardano la partita. È irriducibile Simeone, perché come ogni vero attaccante sudamericano sa quello che vuole, sa come ottenerlo e sa che deve cercarlo fino all’ultimo spasmo. Dialoga, converge, e corona. Di testa e di piede, ancora una volta, scheggiando lo spazio al limite, bordeggiando nuovamente il gol, in un lungo sospiro di gioia, da bambino infinito. Perché Simeone tutta questa fatica di ricerca ed essenzialità se la accolla ridendo, al massimo scuote la testa e poi si rimette in marcia, palleggia e vola, fino alla prossima occasione. È tutto un largo sorriso alla vita e al calcio, senza fronzoli né generosità, perché Simeone è la primavera che va in gol. Annebbia difensori, inganna mediani, batte portieri, cavalcando le onde emotive che lo posseggono. Il suo estro è un brivido per i terzini scozzesi, che morde come se fosse lui a marcarli, rovesciando i ruoli e l’intensità. È tutto un equilibrio di buone maniere e grandi ossessioni, voglia pazza di segnare e paura di far male. Solo quando si tratta di ingannare il portiere, ha l’obbligo familiare. È natura. E trasgredisce.