Se esistesse il manuale del genio del male perfetto, uno dei capitoli più consistenti sarebbe dedicato a Luciano Spalletti. Il quale, praticamente, subodorando la quantità di critiche, rimproveri, avvertimenti e «noi lo avevamo detto» inesorabilmente conseguenti alla prima e tanto attesa sconfitta stagionale, la fa coincidere con la consacrazione in Champions League e la sua squadra al primo posto del girone.
Impossibile, infatti, guardare o guardare troppo al risultato della gara a Anfield quando, dopo la cavalcata epica degli azzurri in questi due mesi, il Napoli può finalmente sedersi e guardare un attimo dall’alto in basso tutti quelli che l’avevano considerata ai sorteggi un’avversaria abbordabile, comunque non di prima fascia.
È chiaro. Il Napoli ha perso, per carità. Ha perso però nei minuti finali, quando gli è parso evidente che il Liverpool non poteva più fare gli oltre quattro gol necessari a strappargli il primo posto. Si è trattato, insomma, di una resa mentale. Il Napoli ha mollato solo quando tutto è parso sicuro. Del resto Ostigard, se non avesse avuto un orecchio così esuberante da partecipare attivamente all’azione, un gol lo aveva fatto. Dunque sconfitta ma con vittoria. Ed era questo l’obiettivo: andare a Anfield, dove notoriamente non si fanno scampagnate, senza necessità di fare risultato o di farne troppo.
Che questo possa “sporcare” l’impresa azzurra fatta finora in Champions lo possono dire solo quelli che di fatica capiscono poco o nulla: se gli azzurri hanno potuto mollare a Liverpool è solo perché a Napoli avevano già fatto tutto il necessario. Dopo aver tanto lavorato a casa, giustamente quando viaggia uno s’ vo’ arrepusà!