Udinese-Napoli, un pareggioche sa di mediocrità


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Il pareggio sempre una posta a met: per la squadra dominante una tassa pagata pi o meno ingiustamente, per quella debole un punto (d’oro) sopra la sconfitta, ma per tutti sempre meglio vincere. Il Napoli con l’Udinese ha oscillato tra debole e dominante: un primo tempo assurdo e osceno e un secondo tempo da dominante, una partita che diventa un autoritratto dell’oscillazione calcistica: dal 27 ottobre che pareggia o perde, sono 5 i pareggi in campionato con 2 sconfitte come carico di pena e 2 pareggi in Champions League. Il pareggio una mediazione tra speranza e sogni, a volte va persino bene come in questa partita con l’Udinese, perch un’altra sconfitta sarebbe stata una condanna pesante in una situazione altrettanto gravosa che il Napoli si auto inflitto con un tafazzismo da studiare, e con tentativi di rimedio cos goffi e buffi da ricordare gli sfigati dei primi film di Ken Loach.

Sprofondo Napoli, se la reazione del secondo tempo è solo un brodino

Così, alla fine, il vecchio vituperato pareggio diventa una condizione dello spirito alla quale ci si affeziona pur venendo dalla cima, pur arrivando da una abitudine alla vittoria che ha influenzato il pubblico napoletano, portandolo, ora, sull’orlo di una crisi di nervi. Per Pelé il pareggio era una condizione inesistente, certo, se sei Pelé vai e risolvi, non ti appartiene perché la dribbli insieme a quelli che provano a importela, ma per un giocatore normale in un calcio che dribbla poco diventa molto più difficile, anche perché Pelé veniva da una infanzia di sconfitte e non voleva saperne di mediazioni, e poi era Pelé, i calciatori del Napoli non hanno avuto (e per fortuna) quella infanzia e possono anche permettersi il lusso del pareggio, che con i tre punti è diventato uno stretto cugino della sconfitta, tanto che Sepp Blatter quando era presidente della Fifa provò ad abolirlo, disse: «Ogni partita dovrebbe avere una squadra vincitrice. Una partita è fatta di emozioni. C’è passione. Può essere drammatica. Alla fine è quasi sempre una tragedia». Insomma voleva il dramma senza paracadute. Felix Magath nato in una base militare e killer della Juventus in una finale si scagliò contro lo zero a zero, chiedendo di non assegnare punti alle squadre che non segnavano, speculando sull’importanza delle emozioni date dai gol. Gianni Brera avrebbe risposto ad entrambi «ma va a scoà el mar», avendo disegnato più o meno romanzescamente nel pari una perfezione filosofico-calcistica senza sconfitti né vittoriosi. Il pareggio è una zona intermedia, un grigio di resistenza, era l’ultima trincea per i timidi nel calcio, ora nell’epoca ossessiva della vittoria ad ogni costo è diventata una condizione di cui vergognarsi, come se in una infezione l’abbassarsi della temperatura venisse presa come un ulteriore fatto grave.

Il Napoli era malato e forse sta guarendo, ha avuto un lungo periodo di convalescenza i cui traumi si vedono ancora nell’assenza di ritmo ed estetismi, ma si è intravista la vecchia buona volontà di rimettersi in corsa, di andare a pareggiare con uno Zielinski mai tanto lontano dalle sue assenze, per la prima volta non solo presente all’agonismo ma anche marcatore del gol speranza. Un pareggio quasi salomonico con un tempo concesso e uno vinto che se non consola, riscalda, e permette a Carlo Ancelotti di invocare tempi migliori, di appellarsi ad altre sue squadre passate male e poi andate a stare bene. Nick Hornby sulla sofferenza data dal tifo per il suo Arsenal ha costruito un grande romanzo nelle cui pagine c’erano vite aggrappate al pareggio in campo come a quello nella vita, dove la vittoria era straordinaria e mai assuefacente. Il Napoli e tutto il mondo intorno alla squadra dallo stadio alla città hanno dimostrato di non voler soffrire, di rifiutare l’intermedietà della sala d’attesa data dai pareggi, in larga assenza di gioco, di non saper aspettare e di non voler passare per il Purgatorio che pure è tanto presente nella storia, nell’immaginario e nella vita dei napoletani adorando e invocando solo e soltanto la vittoria. Questo è un periodo perfetto per usare il calcio non come riscatto ma come specchio, e poi come ricordo per apprezzare di più i momenti belli che verranno.

From: https://www.ilmattino.it/sport/sscnapoli/udinese_napoli_pareggio_mediocrita-4913041.html
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