È passato un anno dal braccio di Bernardeschi alle spinte di Matuidi e Florenzi ma niente è cambiato. Ci sono arbitri che considerano il Var un optional, e loro colleghi addetti al Var che, in ossequio a un lacunoso protocollo, non intervengono anche se vi sono macroscopici errori. Appunto come quelli visti in Cagliari-Juve dello scorso gennaio e in Torino-Juve e Roma-Genoa dell’ultimo week-end. Un anno, appunto.
Sarebbe da un auspicare una reale sinergia tra l’arbitro in campo e l’arbitro al Var, una comunicazione attenta e costante. Ma soprattutto un dialogo che vada oltre la partita. Perché parlano soltanto Nicchi e Rizzoli, presidente e designatore, con i media? Perché, in un’epoca in cui parlano quasi tutti i giorni Papa Francesco e il presidente Trump, gli arbitri continuano ad essere obbligati al silenzio? Sarebbe bello (e soprattutto utile) aprire il microfono per ascoltare la voce di chi compie un errore: non per metterlo sotto processo ma per capire come sia possibile non fischiare un rigore netto, o non darne indicazione dalla regia Var. Questo, a nostro avviso, consentirebbe a un arbitro di liberarsi di un peso perché l’errore è umano e, se ammesso, è un atto di responsabilità che dà sollievo e non mortifica. Naturalmente bisognerebbe scegliere gli interlocutori tecnici più autorevoli, non quelli che nei salotti tv sono pronti a strizzare l’occhio all’intervistato di turno, blandendolo e assecondandolo.
Aprirsi all’esterno è un diritto e un dovere di questa categoria che non vuole essere definita una casta. È giusto che il presidente Nicchi esiga il massimo rispetto nei confronti dei suoi arbitri, come ha sottolineato nell’intervista a Giuseppe Crimaldi pubblicata venerdì scorso sul Mattino, ma il rispetto, attraverso il chiarimento di una decisione, deve esservi anche nei confronti delle squadre, delle società (durissimi gli interventi di Preziosi e Cairo, i presidenti di Genoa e Torino, dopo i torti subiti nelle gare contro Roma e Juve) e delle tifoserie. Secondo il capo dell’Aia, il Var avrebbe dovuto portare una ventata nuova nel calcio e riavvicinare i tifosi. Ma ancora tanti sono gli episodi controversi e si continua a non capire perché un arbitro, nel dubbio, non vada al video per esaminare il replay. Non bisognerebbe riaprire quella che è una ferita per De Laurentiis, il Napoli e i suoi tifosi ma in Inter-Juve dello scorso aprile – la partita che di fatto decise l’assegnazione dello scudetto ai bianconeri – il Var intervenne per inasprire un provvedimento di Orsato a carico del nerazzurro Vecino (da prima ammonizione ad espulsione) ma si tenne distante dal fallaccio di Pjanic, che avrebbe meritato il rosso, perché l’arbitro aveva visto e non sanzionato. Ma se un arbitro sbaglia, o è tratto in inganno, perché il collega non può intervenire dalla regia per cancellarne la decisione ed evitare che un risultato sia viziato?
Pochi giorni dopo Cagliari-Juve dello scorso campionato il designatore Rizzoli riunì gli allenatori: ascoltò le loro proteste e ne raccolse i suggerimenti, aprendo alcuni file audio delle comunicazioni arbitrali tra campo e Var durante le partite. Si ascoltarono i commenti su Crotone-Napoli (sospetto fallo di Mertens) ma non sul braccio di Bernardeschi che deviò il pallone nell’area bianconera e la cosa lasciò perplessi. Il contributo del Var è fondamentale e infatti quanto decise la Federcalcio presieduta da Tavecchio nel 2017 è stato seguito dalle più importanti leghe europee, dalla Fifa (lo ha introdotto per i Mondiali in Russia) e dall’Uefa (il debutto in Champions dagli ottavi di questa edizione, in anticipo rispetto ai tempi fissati dal presidente Ceferin perché vi sono stati club potenti che hanno alzato la voce dopo alcuni danni subiti nelle gare dei gironi). Il progetto è positivo ma va migliorato e soprattutto una decisione va spiegata affinché sia compresa, soprattutto se sbagliata. Sarebbe questo il modo migliore per spazzare via le nuvole nere dei sospetti che continuano ad esservi, a prescindere dal Var. Ci pensi Nicchi.
From: Il Mattino.