(Italiano) I tre motivi della crisi del Napoli di Ancelotti


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Errori, incertezze, dubbi. E dopo anni anche i fischi impietosi del San Paolo: analizziamo il momento no degli azzurri

Non ci si può distrarre un attimo (cosa volete che siano diciassette giorni) per accorgersi d’essere uscito dalla anticamera del Paradiso ed essere stati scaraventati nelle fauci dell’inferno: e ora che intorno ci sono lingue di fuoco che avvolgono, prim’ancora che restino solo macerie, l’unico richiamo autenticamente possibile, in una città che si riscopre sottosopra, è nella magìa di quella fusione sparita – non si sa come, non si sa neppure perché – da un momento all’altro. Un giorno all’improvviso, quelle svariate sfumature d’azzurro – saranno state cinquantamila, qualcuna in meno o anche di più – la chimica che ha rappresentato energia per credere persino di poter realizzare sogni impossibili, è evaporata, frantumata da una divisione un po’ netta e assai nostalgica che ha scavato un solco ed ha lasciato nel san Paolo di Napoli-Genoa appena 22.947 spettatori. […]

Ma le statistiche contano o no? E’ la storia di sempre, un po’ quella del bicchiere, che ognuno interpreta a modo proprio: e se è vero che ciò che suggeriscono i computer non è religione, è altrettanto indiscutibile che in quei numeri bisogna andarci a leggere. I parametri, semplici semplici, sono sempre gli stessi, volendo, e in Napoli-Genoa - sabato sera – è successo qualcosa di strano, di insolito, di unico mica di raro: possesso palla al 42,5%, il minimo stagionale. Il Napoli non è lui, un altro dato: ha realizzato 19 tiri nel corso del match, in nessun’altra gara interna gli azzurri ne hanno effettuati di meno in questo campionato. A Roma, per dirne una, pur nella sconfitta, nelle larghe pause, nella contraddizione di un pomeriggio ricca di vuoti, fu del 56,7%. E con l’Atalanta, nell’ultima versione piena di autorevolezza, fu del 50%. Il Napoli è sparito da se stesso, dai propri codici, ha smesso di giocare, di essere padrone delle partite, anche quelle quali, umanamente, ci rientrava qualche strafalcione, fosse un errore dei singoli o una interpretazione blanda. Con il Genoa, il Napoli si è sciolto, ha concesso, non ha trovato il ritmo e neanche la forza per nascondere le proprie paure, giocando sempre con un tocco in più, non scovando non solo la verticalità di un calcio che Ancelotti insegue ma neppure la sensibilità di dominare se stesso, ancor prima che il Genoa. E stavolta non c’è stato bisogno della lente di ingrandimento, né delle cifre, per scoprire quel pallore e quel tremolio.

«Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica può darselo». E non può finire così, standosene sempre alla ricerca di una personalità inesistente, il «vizio», il difetto, chiamatelo come vi pare, di una squadra che nella sua assoluta «immensità» tecnica – un talento che ha aperto allo scudetto più e più volte, l’autorevolezza per indispettire il Liverpool ma anche il Psg o chiunque vogliate inserire nell’analisi – poi sprofonda banalmente nella sua «pigrizia» caratteriale. Il leader calmo può aggiungere – e deve – la propria cultura calcistica, le conoscenze non soltanto didattiche per tirarsi fuori dai guai, ma al resto deve pensare il Napoli, nella sua esuberanza da andare a scovare tra le pieghe di scugnizzi che sono stati tali, e quante volte, e che invece contro il Genoa, ma anche con la Roma, a Ferrara, si sono smarriti, tremando dinnanzi a palloni che improvvisamente hanno cominciato a bruciare ogni forma di idea eventualmente germogliata. Il problema, da sempre, è psicologico però Freud non può entrare in campo, né offrirsi come sostegno laterale ad una crisi di identità che sta emergendo paurosamente adesso, e che in quella striscia apparentemente positiva – le ultime quattro partite di campionato – ha offerto appena tre punti. Non serve un lettino, e neanche che lo ricordi don Abbondio, però una reazione.

Metteteci ciò che si vede, e cioè il rendimento, metteteci ciò che non si vede, e sarebbero i pensieri spettinati dei singoli, metteteci ciò ch’è accaduto, la ribellione ad un ritiro che a questo punto forse diviene argomento di riflessione, e poi metteteci anche quel che non è accaduto, i rinvii sui contratti. Mettete tutto nella centrifuga o, persino, in ventilatore, e viene fuori il caos d’un novembre tristissimo per un Napoli, ma anche per una Napoli, che non riesce a credere e neanche a farsene una ragione. Metteteci tutto, senza escludere nulla, nel computer di bordo, che magari può aiutare a capire cosa si nasconda in questa confusione colossale: però, sino a due settimane fa, a Salisburgo, almeno c’era la coerenza tattica e una leggerezza che è servita per riuscire a resistere. Ma alla distanza, ecco emergere le difficoltà di chi, come Lozano, è arrivato tardi, dopo un infortunio, con una preparazione che si è rivelata approssimativa e sulla quale, giocando un giorno sì e l’altro pure, non è stato possibile intervenire. L’estate, e chi l’avrebbe sospettato!, ha finito per sottrarre al Napoli la sua spina dorsale – Koulibaly, Allan e Milik – ognuno in ritardo per un motivo, chi per la coppa d’Africa, chi per quella d’America, chi per dolenzie muscolari che hanno costretto a rallentare, persino a fermarsi. E ora nel puzzle mancano sempre un paio di pezzi e il Napoli di Ancelotti, pure per questo, si è accorto di essere un’incompiuta (e di avere, probabilmente, un centrocampista in meno in organico).

From: https://www.corrieredellosport.it/news/calcio/serie-a/napoli/2019/11/11-63293638/i_tre_motivi_della_crisi_del_napoli_di_ancelotti/
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