Uno rappresenta l’esperienza e la maturità, l’altro il talento puro e soprattutto il futuro
NAPOLI – C’era già la distanza sociale: uno in campo e l’altro in panchina. Solo che però avevano capovolto i ruoli: e così Meret è finito al posto di Ospina, che si è impossessato del ruolo del socio e collega e in qualche modo anche allievo. E quando poi si ricomincerà, e accadrà, si ripartirà, quasi sicuramente, da quelle gerarchie che Gattuso sembra aver scolpito nel proprio libro bianco, avendo facoltà e pure responsabilità. Gli è piaciuto, in quei mesi, soprattutto Ospina, capace di giocare dal basso, di avviare l’azione con il palleggio; e Meret, che ha la colpa di aver «sporcato» la sua stagione nella disgraziata serata contro l’Inter, gli andava egualmente a genio, ma forse in quel momento c’era bisogno di certezze che l’esperienza concede con maggior naturalezza. Mica semplice adesso decidersi, su strategie che potrà indirizzare il mercato o la volontà dei singoli: però il dubbio rimane, non è poi irrilevante, perché tra i pali c’è un uomo tutto d’un pezzo, che ad agosto compirà trentadue anni, ed alle sue spalle c’è un giovanotto che ha il futuro tra le proprie mani, coperte dai guanti.
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Meret è un talento naturale, te ne accorgi guardandolo, emerge nella sua limpidezza assoluta; ed ha poi anche un suo stile di vita, inappuntabile, il comportamento da bravo ragazzo, una serietà e un rigore da non confondere con una timidezza di fondo, presa a ceffoni, ad esempio, quando venne messo di fronte alla inevitabile domanda da un milione di dollari sulla presumibile rivalità con Donnarumma: «Non ho paura». Ma ha il scrosanto rispetto dei ruoli e per ora ha taciuto, e lo farà ancora pubblicamente, però è chiaro che ci sarà un giorno in cui vorrà anche capire. E pure il Napoli dovrà rispondere a se stesso, a quei venticinque milioni di euro investiti nell’estate del 2018 e ora adagiato lì, a bordo campo: sa di spreco.
Ospina se ne è stato tranquillamente a guardare, quando Meret è tornato dal suo primo infortunio: ha accettato di essere il «secondo» perfetto, da far rientrare nel turn-over, s’è conquistato ed ha governato lo spazio che nell’alternanza gli è stato concesso da Ancelotti e poi da Gattuso e quando gli sono state consegnate le chiavi della porta del Napoli, non le ha mollate più, anche se a Roma con la Lazio è toccato pure a lui mettere il piede in fallo e ritrovarsi a gambe in aria, senza però (e giustamente) si rimpiangessero i quattro milioni e duecentomila euro versati all’Arsenal per averlo. […]
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