Mentre il Napoli va a alla ricerca di un’anima e prova a riavviare un processo di estetizzazione, Piotr Zielinski procede lentamente verso la maturazione, lasciando lo stato di futile giocatore e diventando l’immancabile certezza calcistica che si aspettava da troppo tempo. Già dall’elevato numero di tunnel, inflitti agli avversari dall’inizio di questo campionato, si capiva che era in una evoluzione attraverso la presa di coscienza di un enunciato elementare: che a calcio bisogna divertirsi, cercare la concretezza attraverso l’effimero, se ci sono due gambe aperte perché non infilarci il pallone per passare prima e far anche divertire chi guarda? È sicuramente una sindrome da torero, che compiace il voyeurismo del tifoso, ma nella sfida e spesso nella riuscita del gesto ad alto quoziente estetico c’è la base di una sicurezza che porta, poi, alla crescita del calciatore.
Zielinski, negli anni napoletani, ha alternato grandi prestazioni a grandi sparizioni, grandi gol a grandi errori, ma negli ultimi tempi sta raggiungendo l’accesso a una costanza che lascia sperare molto, anche perché senza il suo tiro che porta al primo gol, e senza la sua giocata che risponde al pareggio del Cagliari, si parlerebbe diversamente del Napoli. Quindi, protagonista della partita e centro di gravità permanente all’interno della propria crescita calcistica. Due risultati positivi, con due gol pesantissimi messi a segno. Mentre intorno Petagna e Fabian Ruiz e Lozano e anche Insigne (questi ultimi due poi segneranno alla fine) sprecavano, Zielinski con una precisione da biliardo infilava Cragno. Il primo gol è un sinistro potente, non angolato, ma alto quanto basta per passare sopra mani e testa del portiere cagliaritano, un tiro di rabbia, senza scompostezza, anzi, con geometria che dice che la linea più breve tra il suo piede e il gol passa da quella e solo quella traiettoria centrale, dopo i numerosi tentativi andati a vuoto dei suoi compagni.
Mentre gli altri scialacquavano occasioni, in una situazione snervante che sembrava virare verso la noia, Zielinski andava dritto al punto: mettendo la palla in porta. Uno a zero, primo tempo, e leggera euforia. Poi col pareggio di Joao Pedro nel secondo tempo, l’era tutto sbagliato e tutto da rifare, secondo l’adagio bartaliano. Ma Zielinski è nella bolla di classe e trasformazione, in piena febbre da protagonismo, sicuro di riuscire dove gli altri tirano alto, di lato e sul portiere. Riceve il pallone da Di Lorenzo, abbastanza forte, stop di sinistro e pallone a seguire, leggero tocco di destro con finta su Zappa, e punta di sinistro a trafiggere Cragno, di nuovo. È un gol da attaccante e brasiliano, non da centrocampista polacco. Grande controllo del pallone, degli spazi, enorme disinvoltura nel dribbling d’altronde viene da mesi di tunnel e giochini da foca e freddezza nel tiro in porta. Una scintilla del talento che porta a incazzarsi quando scompare, e a sperare che non ci siano più sparizioni, ma una costanza in azioni simili, che evocano giocate da Hazard pre-Real Madrid. Zielinski è anche la luce in mezzo a un Napoli che continua a commettere molti errori davanti e dietro, e a smarrirsi improvvisamente cadendo in un pozzo d’assenza. Zielinski si è guadagnato il ruolo di addetto alla bellezza e allo stupore, con opzioni di protagonismi futuri. Questi assolutismi calcistici serviranno moltissimo a Gattuso e alle sue sperimentazioni anche in futuro. Gli tocca sperare che il centrocampista polacco si appropri come oggi del suo talento, invece di continuare furtivamente ad accarezzarne l’ombra in una partita su tre.