L’unico colpo di cipria su una maschera di trucco non riuscita. Gioca poco più di mezz’ora e rischia anche di segnare. Giacomo Raspadori mostra il suo essere menestrello a suon di meraviglia: stoppa, palleggia, dribbla, tira, animando un Napoli grigio per via della Fiorentina attenta, stretta, ossessiva, anche se inconcludente. Dopo due non partite, Luciano Spalletti trova una squadra vera e un allenatore che sa come gestire le partite, anche se gli manca il gol (è al terzo zero a zero consecutivo tra campionato e coppa). La faccia da bravo ragazzo, i capelli sempre in ordine, il sorriso a favore di sguardo, e il pallone tra i piedi, per andare alla ricerca dell’oltraggio, Raspadori, diventa, in una sera fioca, con un Napoli da guado, l’unico agguato possibile per la difesa di Vincenzo Italiano, anche da pirata senza rotta.
Mancano ancora i fraseggi precisi con chi gli sta intorno, l’intesa con Politano, l’ammicco con Anguissa e Ndombelé, ci vogliono tempo e partite, e questa ha cominciato a stare stretta al Napoli fin dal fischio d’inizio. Che Raspadori sia uno sfiancatore è evidente, ma bisogna lavorarci ancora molto. Il palleggio in corsa, la capacità di virare, l’appoggio senza sguardo, son tutte cose già viste, ora bisogna innestarle nel Napoli, e sfruttarle al massimo (visto il prezzo pagato). Insidia, ma non scalfisce. Ispira, ma non determina. Stupisce, ma non trova la meraviglia. Il suo sinistro angolato rischia di sorprendere Pierluigi Gollini, ma è troppo educato, troppo giusto, per non rimanere impigliato nel fango che pare caratterizzare la partita. Pare che i calciatori azzurri giochino in un campo di terra, dopo molta pioggia, bloccati, restii, contratti, incapaci di trovare la fluidità che si era vista nelle prime due partite dei napoletani.
Molti errori negli scambi, e molti ritardi nelle verticalizzazioni. La verve di Raspadori, qui solo intravista, come speranza in mezzo al mare, servirà molto, ma servirà anche dargli un appoggio migliore, non basta il solo Politano, tra l’altro chiamato a giocare sempre con l’acqua alla gola dopo una deludente troppo concessa partita di Hirving Lozano. Mentre Raspadori fa il pieno di giravolte col pallone, Elmas non sembra seguirlo e Simeone era troppo emozionato per giocare davvero. Insomma, Firenze, e il suo campo, si confermano un posto nero per il Napoli. Niente di grave, ma poteva andare in testa in solitario, e finire il mese proseguendo con lo stupore, dopo i botti del calciomercato. Questo Napoli sembra uscito da canzone di Guccini: uno stratega delle occasioni perse. Troppo presto per recriminare, mai troppo per intestarsi una corsa in solitario. Tocca consolarsi con Raspadori: tattica ed estetica, accelerazione senza robotica, capacità di saltare l’uomo senza troppi preamboli né troppe finte, e l’ardire di considerare il gol una cosa propria, da non prestare a nessuno. Bisognerà vederlo dall’inizio, con altri compagni intorno, ma le intuizioni e le perle ci sono tutte. A Firenze è stato l’unico strillo calcistico, tra un Osimhen distratto, un Lobotka incasellato, e un Kvaratskhelia agli arresti di Dodò (migliore in campo). Raspadori ha iperboli sognanti e possibilità balcaniche, bisogna aspettarlo, coccolarlo, crescerlo. C’è la prima di Champions col Liverpool, stanno arrivando le partite con le grandi, è venuto per giocarle da protagonista: ha visione, classe, bisogna aspettare la tessitura, che passa per Spalletti e compagni, lui ci mette la fantasia e i punti di fuga. E Napoli aspetta i gol.