Nei dettagli di Giovanni Pablo Simeone si capiscono tante cose. È per tutti il Cholito ma non solo perché suo padre Diego è il Cholo. A 27 anni non è più semplicemente un figlio d’arte: è un bomber vero, un uomo autentico che nel Napoli insegue obiettivi importanti. Lo scudetto e la convocazione con l’Argentina. Dalla passione per Napoleone e Coelho, alle ore di meditazione e al rapporto con Spalletti e con il dio Maradona.
Simeone, come si sta in questo Napoli?
«Si sta bene, con i piedi per terra. Questa cosa di essere lassù sia in campionato che in Champions fa venire solo una voglia di continuare così, consapevoli che questa è la strada giusta. Siamo tranquilli e l’idea di dover migliorare sempre ci dà ancora più forza».
Immaginavate di essere così forti?
«Io e Jack siamo gli ultimi arrivati e abbiamo trovato un gruppo già molto solido e compatto, che ha mostrato di avere una grande voglia. E questa volontà è sempre la condizione base per poter raggiungere i risultati che abbiamo raggiunto in queste prime settimane. Poi, si sa, sono sempre i risultati che danno il valore alle cose».
Cosa l’ha attratta di più e l’ha convinta a dire di sì?
«C’è stato qualcosa di speciale, quasi magico, fin dal primo momento in cui mi hanno parlato di Napoli. Ho sentito dentro di me delle vibrazioni positive, una voglia matta di indossare questa maglia. Ho avuto altre tentazioni questa estate ma quell’emozione che mi ha dato la parola Napoli non me l’ha data nessuno. C’è allegria a stare qui. E tutto questo mi dà una quotidiana forza».
Non si era sbagliato?
«Sono una persona sensibile, percepisco energie positive, vivo captando quello che è positivo attorno a me e riesco a separarlo da ciò che è negativo. E Napoli mi ha dato subito una scossa: qui dovevo venire. Io credo nella forza dell’energia, il mondo e l’universo sono in movimento e noi tutti siamo persone che si muovono dentro queste vibrazioni avvertendo se sono o meno in sintonia con la cosa giusta da fare. Credo in quello che sto facendo. E il volere e il credere sono sempre più forti di ogni cosa. Ci sono tante squadre forti come il Napoli ma è la voglia che poi decide chi vince».
Rubi qualcosa delle caratteristiche di Osimhen e Raspadori?
«Di Osi è difficile copiare la sua velocità e la sua conclusione nella velocità: ha un tiro in corsa impareggiabile. E di Jack adoro la sua creatività, i suoi stop, i suoi tocchi, la sua eleganza».
E di Simeone cosa le piace?
«Non molla mai. Neppure per un secondo in un allenamento. Ogni giorno. Ho sempre lavorato per arrivare qua, chissà quali doti speciali uno pensa si debba avere: no, c’è il lavoro, solo quello».
Chi sono i nuovi leader di questa squadra che questa estate ha avuto così tanti addii?
«Vedo tutti sulla stessa linea. Anguissa, Di Lorenzo sono favolosi, hanno doti che vengono da dentro. Ma anche di Meret apprezzi la sua personalità. La verità? Da noi nessuno è più di nessuno. Siamo tutti uguali».
Due immagini: lei che bacia il tatuaggio con la Champions dopo il gol con il Liverpool e la sua corsa felice come un bambino nel corridoio di San Siro. Cosa ha pensato?
«Non si pensa a nulla in quei momenti, è una sensazione. Come l’attimo prima di fare gol, non hai tempo per pensare. Durante quella corsa a San Siro e il bacio sul tatuaggio, mi sono lasciato andare, naturale, semplicemente. È la cosa più bella. Vivere il momento, il presente: non c’è nulla di più meraviglioso».
Maradona è davvero un dio come le ha raccontato suo padre?
«Il Maradona è uno stadio pazzesco dove senti che sei forte. È un luogo che dà potenza ed è una forza che arriva dalla gente che sta sugli spalti. Da avversario, sulla mia pelle, ho visto quanto è dura: ti pesano di più le gambe, pensi che sei meno di quello che sei. C’è energia nell’aria. E poi quando senti la canzone della Mano de dios anche io mi metto a cantarla. E non solo perché Rodrigo Bueno è uno che ascolto sempre. In Argentina quel tipo di musica, il cuarteto, piace a tutti: è una ritmo che abbiamo nel sangue».
Andrà al murale del Pibe?
«Presto. Intanto ci è andata mia moglie Giulia e si è commossa, dice che un luogo fantastico».
Essere figli d’arte è stato un vantaggio o le ha pesato?
«È stato più difficile, più pesante. All’inizio ti indicano sempre come il figlio di… ne avverti il peso, l’ombra di tuo padre che ha fatto sempre di più, gli occhi addosso delle persone che alludono a chissà che favori. Per arrivare qui, ci vuole il doppio del valore, e questo vale per tutti i ragazzi che hanno il papà che fa il proprio mestiere».
C’è una frase del Cholo che è sempre nel cuore?
«Mi scrive messaggi ogni giorno ma una volta mi lasciò un biglietto in cui c’era scritto innamorati del gol, è la cosa più bella. Ma lui non è il mio mister, è mio padre. E le sue telefonate, i suoi consigli sono per la vita di tutti i giorni, sono le parole dette a un figlio. Non sono le frasi di un allenatore, non sono suggerimenti tecnici. Parliamo delle nostre vite, lui a Madrid, io ora a Napoli».
Quale allenatore le ha più dato una mano?
«Appena arrivato in Italia al Genoa ho trovato Juric che è stato molto importante. Ma anche Di Francesco mi ha aiutato: attaccavo la profondità e davo poco una mano nel gioco. E c’è Tudor che mi ha fatto crescere dandomi equilibrio».
Juric tra sette giorni sarà col Torino al Maradona.
«È una sfida da temere, tosta perché le sue squadre giocano uomo su uomo e a tutto campo, mettono sempre in difficoltà ogni avversario con la pressione costante. Cercheranno di vincerla. Come faremo noi».
Da quando è in serie A, quale l’attaccante più forte che ha visto?
«Immobile. Vedo i movimenti di Ciro e ne resto incantato: ha una facilità a trovare gli spazi per fare gol o andare al tiro uniche».
Lei è l’unico attaccante che ha segnato una tripletta al Napoli negli ultimi dieci anni. Lo sa?
«Sì, quando ero nella Fiorentina. Quel pomeriggio fu anche la mia prima tripletta. Per il Napoli che inseguiva lo scudetto fu una giornata triste. Io ricordo che nella mia testa, dopo quelle reti, c’era solo la partita dopo, che giocammo con la Roma. Sa perché? Puoi fare bene ma se poi la volta dopo fai male, tutti si sono già scordati».
Mi definisce Spalletti?
«È una persona che studia ogni cosa di un giocatore, sia come persona che come calciatore. Guarda ogni movimento che fai, è attento: lui lavora per metterti sempre nelle condizioni di poter dare il massimo in ogni momento. Non pensa al singolo, lui pensa alla squadra, a quello che il singolo può dare alla squadra. Che è la cosa che conta di più»
Del cholismo cosa le piace?
«È uno stile di vita. Mio padre ripete sempre partita dopo partita. E non è come nella vita? Giorno dopo giorno. Si deve vivere dando sempre il massimo, per non avere rimpianti. Il cholismo va oltre il calcio. Vivere ogni giorno lasciando tutto».
Cosa fa per essere Simeone?
«Amo la meditazione. Mi ha fatto trovare equilibrio. Il cervello è anche un muscolo che si deve allenare, sia facendo esercizi sia facendo respirazione per calmare la mente. E questo mi ha aiutato ad affrontare in maniera serena, tranquilla le cose della vita. Ho le mi tecniche di respirazione, le faccio ogni mattina. Ho iniziato anche il Tai Chi (una delle più antiche arti marziali cinesi, ndr) a Verona, lo voglio riprendere anche qui».
Per questo su Instagram ha scritto che la voluntad es la magia que transforma los sueños en realidad?
«L’ho cambiata io, la frase originale parlava della forza come magia. Ma non la condivido, presuppone uno sforzo. È la volontà che trasforma i sogni in realtà. Lo dice anche Coelho nell’Alchimista che è una delle mie letture preferite».
Lo confessi, ama o no essere chiamato il Cholito?
«Mi piace. All’inizio era evidente il riferimento al mio papà. Ma ora il Cholito sono io, non sono solo il figlio del Cholo quando vado in campo e gioco».
Ora a Napoli vive con sua moglie Giulia.
«Stiamo a Posillipo. Il mare dà energia. L’ho conquistata parlando di Michelangelo, dei Medici e di… Napoleone. Perché quando ci siamo conosciuti a Firenze lei mi parlava dell’Isola d’Elba e da lì abbiamo discusso dell’imperatore dei francesi».
I suoi fratelli Gianluca el bufalo e Giuliano, sono forti come lei?
«Anche Giuliano ha qualità, tanta. Ha la testa per diventare forte forte. Ha 19 anni. Credo che potrà divertirsi su un campo di calcio».
Il Napoli può sognare lo scudetto?
«Può continuare a fare quello che sta facendo adesso, vivere ogni giorno al massimo. Tanto si gioca ogni tre giorni, il tempo per sognare è sempre poco».
E lei sogna ancora di andare al Mondiale con l’Argentina?
«Vorrei tanto… da un anno non vengo convocato eppure ho fatto 17 gol in serie A. Spero che ci sia spazio per me».
Sul braccio ha tatuato il nome di suo nonno Carlos, non di suo padre. Perché?
«È lui la vera roccia della nostra famiglia, lui ha messo le nostre radici e ha dato forma alla nostra passione per il calcio. Ha indicato la via a tutti noi. È giusto che abbia inciso il suo nome».
Se fa gol in Champions all’Atletico Madrid, festeggia?
«Io sono tifoso dell’Atletico e di mio padre. Già se gioco nei quarti di finale sarei felice… se poi faccio gol, lo sarò ancora di più».