Il 20 settembre 2003 il tifoso azzurro perse la vita precipitando nel vuoto per sfuggire alle cariche della polizia all’esterno dello stadio. Per lo stato nessun responsabile, la famiglia aspetta ancora oggi risposte sui fatti di quella notte
ROMA – L’anniversario cadrà domani: tredici lunghi anni aspettando verità e giustizia che sono ormai fuggite, come scappava Sergio Ercolano dalle cariche violente verso i tifosi azzurri. Una fuga terminata su una tettoia di plexiglass spezzatasi sotto il peso di un ragazzo di vent’anni, precipitato in un vuoto senza scampo. Era un derby di Serie B, era Avellino-Napoli, da allora partita legata a filo doppio con il dolore di una famiglia che si è dovuta rifugiare nella fede per difendersi dal muro di gomma che lo Stato le ha posto davanti, secondo il quale né società né Comune né Ministero degli Interni avevano alcuna responsabilità per il «comportamento abnorme dell’Ercolano» – una frase, quella della sentenza della Corte d’Appello del 20 dicembre 2013, che non smette di ferire - «che – o per entrare nello stadio eludendo i controlli o per trovare una via di fuga per sottrarsi alla guerriglia tra tifosi – scelse autonomamente e consapevolmente di percorrere una strada che, per tutte le caratteristiche innanzi illustrate, era prevedibilmente molto insicura e visibilmente insidiosa»,
LA FAMIGLIA E UN DOLORE MAI SOPITO – Scaricata ogni responsabilità, nessun risarcimento: la colpa era solo di Sergio, un ragazzo “colpevole” di cercare di salvarsi la vita, perdendola, in una sera in cui i feriti si contarono a decine e sulla quale ancora aleggiano dubbi sui tempi dei soccorsi prestati al giovane, che giaceva gravissimo in un fossato a cui si accedeva solo attraverso un cancello chiuso e aperto dopo lunghi minuti, di sicuro troppi per tentare di salvargli la vita. «Il caso è stato archiviato come fosse una pratica. Ma lui era un ragazzo con in tasca i soldi e il biglietto, che non sono stati trovati, e stava fuggendo perché voleva tirarsi fuori dai disordini. Non ho mai chiesto vendetta, solo giustizia. Ho trovato conforto nella fede, forza negli altri miei due figli, ma è brutto riconoscere che per gente come noi non c’è giustizia. Ed è brutto riconoscere che i morti non sono tutti uguali», le parole della madre di Sergio alla stampa qualche anno fa.
GLI SCONTRI SEGUENTI – Gestione dell’ordine pubblico, servizi di sicurezza, impianto…Alla fine a pagare per i fatti di quella notte sono stati solo otto ultras del Napoli, ritenuti responsabili degli incidenti seguenti alla tragedia e condannati nel 2014 dal tribunale di Avellino a pene da tre a nove anni di reclusione per devastazione e saccheggio.
From: Corriere Dello Sport.