Inviato a Milano
Milano. L’uomo che ha cambiato il calcio italiano non ha ancora deciso di cambiare. Ma ci sta pensando. Oggi a San Siro affronta il Milan che pure per un po’ di giorni tumulto gli ha creato, visto che sembrava il club scritto nel suo destino: «Dopo una cena con Galliani ero convinto che sarei stato l’allenatore dei rossoneri», ha raccontato divertito poche settimane fa durante la premiazione al «Maestrelli» a Montecatini. Una investitura durata 48 ore che gli fece capire che a Empoli, in ogni caso, era arrivato al capolinea. Tre anni dopo è ancora il Milan che può fargli capire qualcosa del suo futuro: Maurizio Sarri non perde col suo Napoli fuori casa dal 29 ottobre del 2016. 18 mesi di imbattibilità che sono serviti a creare il mito.
Con 77 punti, il Napoli sarebbe stato primo 8 volte negli ultimi 10 campionati, in cui solo due volte (quest’anno e nel 2013-14) la squadra prima in classifica (la Juve anche allora), aveva più di 77 punti. Sarri – che ieri ha ricevuto la visita da parte del cantante Roberto Vecchioni – non si accontenta: vuole lo scudetto. E lo scudetto passa per la Scala del calcio, che poteva essere la sua. Ma non è stata la sua per il no di Berlusconi. Acqua passata, ma Sarri è uno che non dimentica: oggi vorrà vincere perché i tre punti sono fondamentali per la rincorsa ma anche per far capire, ancora una volta, che nel 2015 al Milan fecero un errore madornale. Ma lo hanno già capito.
Andrà sulla panchina del Napoli quest’oggi per la 142esima volta. Un numero che non dice molto per gli statistici, ma serve a sottolineare che Napoli, per Sarri, è stata la stazione più lunga del suo pellegrinaggio: ha guidato l’Empoli per 132 volte. E poi, il terzo periodo più lungo di permanenza è stato a Pescara, tra il 2005 e il 2006, con 43 panchine. Insomma, il cuore di Sarri non è uno zingaro. Il resto del corpo magari sì, e per cause di forza maggiore visto che a parte le due ultime avventure, è sempre stato non più di un anno allo stesso posto. Dunque, il corpo viaggia spesso e in queste ultime settimane nasconde il tumulto dell’anima, e del cuore. Ha disdetto il fitto della sua abitazione a Varcaturo dove viveva da tre anni, primo indizio di una possibile partenza. Non ha ancora detto di sì all’invito di De Laurentiis a cambiare il contratto che lo lega fino al 2020, con ritocco dell’ingaggio (il patron si sarebbe spinto a offrire circa 3,5 milioni all’anno); non si è sottratto alla corte del Chelsea e pare che sia proprio per Albione che si decida a lasciare il calcio italiano.
Le parole di De Laurentiis lasciano intendere che deve scegliere Sarri: tocca a lui dire di sì all’offerta di rinnovo o rilanciare con la richiesta di ingaggio oppure dire che il ciclo è al capolinea. De Laurentiis non sarà a San Siro: ieri era nei box della auto elettriche della Formula E, all’Eur. Nonostante gli indizi, De Laurentiis non sa ancora cosa farà Sarri. Magari lo immagina, lo sospetta e forse lo teme. Nonostante non sia proprio entusiasta dell’eliminazione in Champions League e di quella ai sedicesimi di Europa League che rischia di far scivolare fuori il Napoli dai primi 20 del ranking Uefa, farà di tutto per scongiurare l’addio.
Presto Sarri dovrà dire a De Laurentiis cosa intende fare della proposta presidenziale. E tutto ruota solo sull’aspetto economico perché il resto, dal centro tecnico ai lavori alle infrastrutture, è secondario. Ed è chiaro che il silenzio, non è un buon segnale. Inutile girarci intorno. Sarri è concentrato sul rush finale ed è evidente che se dopo Juve-Napoli la corsa scudetto sarà ancora aperta, il discorso sulla firma sul nuovo contratto, nuovo di zecca per ingaggio e bonus, slitterà di qualche settimana. Sarri non ha fretta: stia pure sui carboni ardenti il patron, sta pensando. D’altronde questo aumento dello stipendio Sarri pensa di meritarlo da tempo. Già dalla primavera di un anno fa.
From: Il Mattino.