Inviato a Cobham
Su questi meravigliosi prati di velluto del centro sportivo del
Chelsea, non c’è un solo filo d’erba che lui non
abbia già imparato a conoscere. Eccolo Maurizio Sarri nel
suo nuovo regno, l’uomo dei 91 punti, dei record e dello
scudetto accarezzato e sfiorato. Ha già vinto 4 gare su 4 in
Premier e anche qui sono praticamente tutti ai piedi del sarrismo
che però, si sa come sono gli inglesi, hanno voluto
già tramutare in Sarri-Ball. Il Chelsea è la sua
nuova casa e lui già si sente a suo agio. D’altronde,
è come se fosse in un castello incantato, pieno di
meraviglie. E dal suo ufficio con terrazza che affaccia sui campi
di Cobham e sulla campagna del Surrey, per la prima volta
l’ex tecnico del Napoli racconta la sua verità sul suo
addio, sui suoi rapporti con De Laurentiis e sul suo sogno rimasto
nel cassetto.
Sarri, com’è l’Italia vista da
Londra?
«Così com’è vista da vicino, piena di
problemi. Però quando siamo lontani, scatta un po’ di
nostalgia e qualcosa ci manca sempre. Più di tutto il cibo
anche se mi sto abituando alla carne e al salmone di qui. Non
riesco però a trovare nessuno che fa il caffè come
Tommaso (lo storico magazziniere del Napoli, ndi)».
E la serie A vista dal Chelsea?
«Ho seguito poco il campionato italiano in queste prime
giornate, qualcosa del Napoli, del Milan, dell’Inter, della
Juventus. Però qui è totalmente diverso: è una
festa assoluta, è un piacere arrivare negli stadi e vedere i
tifosi con le maglie diverse che prendono una birra assieme. Io
firmo autografi ai tifosi della squadra avversaria a bordocampo,
prima e dopo il match. Ci sono gare con tanta intensità,
fisicità. Quello inglese è un calcio diverso da
quello italiano, giocato in strutture straordinarie».
Le principali difficoltà a entrare nel mondo dorato
del Chelsea?
«Conosco meno le squadre che affronto e gli avversari. Poi
all’inizio farsi capire non è stato proprio
così semplice…».
A proposito, tutti sospettano: Sarri ha imparato
l’inglese troppo alla svelta. Quando ha iniziato a
studiarlo?
«Trent’anni fa, quando ero in banca. Ma poi ho smesso
per ventinove anni…».
Le capita ancora di ripensare a quel
Fiorentina-Napoli?
«Mi capita di ripensarci. Per forza. Sarebbe stato il
coronamento di una storia straordinaria, di un sogno mio, della
squadra e di tutta la città. Ovvio che mi capita di rivivere
qui momenti, in ogni istante. Qualcuno ha fatto ironia sulle mie
parole, ma chi ha fatto sport sa che abbiamo perso lo scudetto in
albergo».
Allora avrà ancora mal di pancia per
quell’Inter-Juve?
«Sì. Perché quello che è poi successo il
giorno dopo è la conseguenza di quella partita».
Ancelotti può riuscire dove non è riuscito
lei?
«Lo spero per la città, per i tifosi. Napoli è
una città straordinaria, merita di vincere lo scudetto. Io
da tifoso del Napoli sono contento che sia Carlo ora a fare
l’allenatore perché non solo ha vinto ovunque è
stato, ma si è fatto voler sempre bene da tutti. Vuol dire
che le qualità umane e professionali sono
straordinarie».
Più difficile essere l’erede di Sarri o
l’erede di Conte?
«Io non ho vinto nulla al Napoli. Conte invece qui ha vinto
ed è difficile prendere il suo posto».
Perché non è più l’allenatore
del Napoli?
«Ancora non lo so. Bisogna chiederlo alla società. Ma
ora ho il Chelsea, e sono felice. C’erano dei motivi per cui
volevo rimanere al Napoli e c’erano dei motivi per cui avevo
delle perplessità. Il contratto che ha voluto il presidente
prevedeva una clausola rescissoria con scadenza 31 maggio e invece
il 21 maggio hanno fatto il contratto ad Ancelotti».
Come ha saputo del suo ingaggio?
«Ero a cena con Pompilio, il collaboratore di Giuntoli, con
cui stavo discutendo proprio se restare o no. Abbiamo acceso la tv
e abbiamo visto l’ingresso alla Filmauro di Ancelotti. Cosa
ho pensato? Quello che pensavo prima, ma lo tengo per
me».
From: Il Mattino.