Var, a che serve la (il) Var? Niente, neanche la (il) Var riesce a far segnare un rigore contro la Juventus. E se non ce la fa un rigore di Var, proprio vuol dire che la Juve è invulnerabile. Hai presente lo scudo d’energia sulle astronavi aliene?
Però la Var (al femminile soprattutto da Roma in giù, al maschile talvolta da linea gotica in su) serve, eccome se serve. Serve per sperare glielo levino (il gol a loro) e per temere ce lo tolgano (il gol a noi). Serve a fornire a tutti noi tifosi un’istanza di appello per la condanna appena subita oppure a incutere a noi tifosi un dubbio… da autovelox: stavo o non stavo dentro, mi ha preso o non mi ha preso?
Osservate voi stessi nell’immediato dopo gol al tempo della Var: disperarsi, dolersi, sacramentare per averlo preso? Sì, certo. Ma, un momento, aspetta: forse ci graziano. Festeggiare, compiacersi, sfottere per averlo segnato? Un momento, aspetta, rischi il rinculo da esultanza repressa e respinta. Aspetta che passi il tempo della Var.
Serve, ci voleva una cosa così. Soprattutto nel campionato delle stelle fisse. Una cosa che allunga il menù dello spettacolo. Una cosa che fa suspence e show. Una cosa che fa adrenalina. Una cosa che fa emozioni: delusione, ansia, batticuore, speranza, rivincita, sollievo, timore, gioia. E soprattutto una cosa che puoi assolvere i tuoi dai loro peccati calcistici e condannare i loro anche se hanno messo dentro la palla.
Una cosa perfetta per noi italiani che la cultura del “ma che, davvero? Non si potrebbe rivedere?” ce l’abbiamo come bisogno naturale, habitat sociale e valore civico.
Una cosa che serve soprattutto nel nostro campionato, qui e adesso.
Eccolo il campionato alla sua ultima, in ordine di tempo, giornata.
Si comincia con la Fiorentina tenera, tanto tenera, quasi ancora imberbe. Tale da farsi riprendere dal Frosinone. Si prosegue con il Torino che sa di sughero: potrebbe stare a galla ma pesa poco, tanto poco. Basta che un Parma gli metta sopra una mano e il Torino va giù.
A sera Napoli, cioè Ancelotti sarrismo dal volto umano, più che umano. E Genoa che comincia a sentir odor di maledizione. Dalle acque pantanose spunta un Napoli che si diverte tanto quello di Sarri e più di quello di Sarri si impegna.
Ed ecco al mattino dopo l’Inter in armonia con la cupezza lessicale di Spalletti. Cioè: spesso quando parla non ci si capisce niente, anche se si capisce che Spalletti ci ha molto pensato sopra a quel che dice. L’Inter a Bergamo uguale.
Poi tocca alla Roma che, se si dimentica definitivamente di aver comprato Pastore, se non si illude di aver trovato Schick, se Lorenzo Pellegrini regge a questo livelli, se Di Francesco punta su Kluivert, se a gennaio magari si compra un centrale di difesa da venti e non da cinque milioni…magari quarta ci può arrivare.
Tocca al Chievo che non vince mai, al Chievo che sembra proprio abbiano deciso/accettato prima di cominciare di andare alla fine in Serie B. Ventura saluta dopo quattro giornate e il suo viver da allenatore comincia a saper di Golgota.
Tocca al Bologna dell’Inzaghi minore (in panca e non all’anagrafe). Bologna, un centravanti buttafuori/buttadentro e quasi più nulla.
Tocca all’Udinese friabile come grissino e spappolabile come biscotto rimasto a lungo all’umido.
Quindi alla Lazio dell’Inzaghi maggiore (in panca). Il miglior rapporto qualità-prezzo-classifica. Questo è la Lazio e c’è pure, costantemente incredibile, chi se ne lamenta tra i suoi tifosi. Tocca al Sassuolo che come ottimo aperitivo in ristorante che non serve altro dopo l’aperitivo.
Alla fine tocca al Milan. Milan come il suo allenatore: orso arruffato e anatra arruffata al tempo stesso. Arruffo di forza e arruffo di scena, insomma un po’ plantigrado e un po’ paperella.
Tocca a Higuain vedersi il rigore parato. E quindi, poco dopo e soprattutto per stizza, dare di matto in campo. Con tanti, troppi, a dire: bisogna capirlo, in certo momenti…
Argomento non nuovo: se dai di matto sei un po’, anzi tanto scusato, hai l’attenuante di…aver dato di matto. Argomento che autorizza, sdogana, stabilisce il diritto naturale a dare di matto. Argomento da…matti. Non è un argomento, è sentimento. In fondo anche questo nazionale: solenne e di popolo: chi sbaglia paga! Seguito da popolare : ma che, davvero?
Campionato delle stelle fisse. Perché, anche se succedono un sacco di cose e c’è un sacco di movimento, le squadre appaiono come stelle fisse nella volta del cielo. Ciascuna nella sua sfera celeste dove l’altra non ingombrerà e irromperà mai. Come gli umani hanno creduto per secoli: stelle fisse.
La Juventus di cui si può solo disputare se vince bene o benino o maluccio o malaccio. Lassù nessuno la tocca.
Il Napoli che è meglio di quello di prima e anche più simpatico.
L’Inter che è come l’albero di Natale che arriva: lucette, splendore, smalto e s’infosca sulla ciabatta delle prese elettriche.
La Lazio dei fichi talvolta secchi ma sempre a 18 carati.
E poi a quota 19 punti comincia il gruppone da cui probabilmente si staccherà verso l’alto la Roma. Di quanto e quando…questo è il problema, per dirla all’inglese Nel gruppone sono in tante, tutte tranne le cinque (Bologna-Udinese-Frosinone-Empoli e Chievo che si giocano la pelle).
Stelle fisse, posti fissi, sfere celesti separate. Qui come nel campionato francese e a differenza di quelli inglese, spagnolo e tedesco, sappiamo praticamente già tutto delle orbite. Perciò una Var ci serve, fa sapore e perfino pietanza.
From: Calciomercato.com.