Per quanto sia una delle cose che può accadere nel calcio, un portiere che para un rigore fa pensare subito alla straordinarietà, come per una rovesciata. David Ospina poi c’ha abituato a molte sorprese, è un portiere sudamericano con l’educazione europea, non ha circo, non presta il fianco al folklore, non ha segni distintivi evidenti, non è violento e nemmeno un urlatore, ha i comportamenti d’un inglese, ma poi in porta è molto sudamericano: spericolato nelle uscite, felino negli angoli alti e bassi e anche involuto come nel gol subito da Bruno Martins Indi dell’AZ Alkmaar. Non è René Higuita, per citare un suo connazionale, padre dei portieri circensi e con la biografia molto mossa, ma ne conserva il dna sia nei piedi che nell’istinto. Non è immune da delusioni e amarezze, consegnando diverse leggerezze alla porta del Napoli, tuttavia sono sempre di più le parate salvifiche che gli errori, gli interventi che rimangono negli occhi e nei pensieri delle cadute alla difesa, i voli e le parate in due tempi, ecco un difetto di Ospina è non avere il tempo esatto dei portieri fermi: i portieri si dividono in portieri da un tempo e portieri da due tempi, lui appartiene ai secondi. Quelli che devono aggiustarla perché ci sono arrivati sporchi, e in quella loro risposta sporca c’è il godere dell’arrangio, quasi che una parata senza turbamento non potesse esistere, quasi che alla base della difesa della porta ci fosse il brivido, come se non bastasse l’avventura di giocare sull’ultima vera frontiera spazio temporale: la linea della porta. Anche se ora la solitudine del portiere è stata annullata dalla partecipazione al gioco, dall’uso dei piedi e dalla costruzione dal basso: quasi una azione sociale per non lasciare solo l’ultimo uomo, più welfare che filosofia pallonara. E, allora, persa la solitudine, aumentano i portieri in due tempi, che si creano il brivido in area perché stanchi dall’essere indaffarati a interpretare i ruoli di liberi.
Ospina lancia molto bene, interagisce meglio, e in allenamento si lancerà anche in dribbling arditi, perché si vede che è uno di quelli che si diverte a starci nel gioco, anche se poi tra timidezza e silenzio si ritrova. Così quando la lentezza di Bakayoko si deposita su Aboukhla divenendo un sacrosanto calcio di rigore, lui che ha l’area invasa, si isola, si allontana dalla porta, per tornarci con lentezza, come se il rigore non lo riguardasse, e quella non fosse la sua frontiera da difendere. E quando torna in porta si mette dietro la linea, poi davanti, tanto che l’arbitro gli indica la linea e lui ammicca come un Archibald Moonlight Graham chi ha visto L’uomo dei sogni capirà e si mette sulla linea. Intanto sul dischetto Teun Koopmeiners dall’alto del suo ordine mentale, della sua urbanistica olandese troppo Rem Koolhaas, sta cercando la linea giusta per la traiettoria del suo sinistro, si asciuga il viso di pioggia, e dopo aver pensato di andare contro se stesso ha deciso di sposare una linea Piet Mondrian: un sono mancino e lo metto a destra, più lineare di così. Poi ha accompagnato la sua linea aprendo al massimo dell’angolo possibile, senza tenere conto del felino Ospina, che ha detto sinistra su sinistra e via, tuffandosi con tutta la spinta possibile. Due culture che si scontrano in pochi secondi, teste che si svuotano velocemente al grido interiore di: è solo un rigore. Koopmeiners parte con la sicurezza del suo piede sinistro e calcia come ha pensato, l’ordine è stato eseguito. Ospina si tuffa alla sua sinistra e para. Ciao alle linee perfette, benvenuto balzo felino, impressioni di dicembre su un campo d’Olanda dominato da un portiere colombiano.