Costanzo Celestini nel campo dei ricordi ha il numero 7, ma
andrebbero bene anche il 4, l’11 e l’8. Tutti i ruoli del
centrocampo li ha coperti da Marchesi a Pesaola, da Santin a
Bianchi. «Solo la 10 non mi davano mai: prima c’era Diaz,
poi Dirceu infine Maradona. Non ho mai osato protestare».
Semmai c’è da chiedersi come riuscisse, lui alto 1,70, a
fermare (in ogni modo) gente come Platini, Falcao, Muller, Zico,
Rummenigge. «Solo uno mi faceva diventare matto: era Liam
Brady. Lo menavo e non reagiva, colpivo più forte per
intimidirlo e non dava mai un segnale di reazione. E questa cosa mi
faceva saltare i nervi». Celestini ha 57 anni, ha due figli
di 35 e 33 anni ed è nonno di tre nipotini, vive tra Varese
e Sestri Levante, dove allena la squadra di serie D. «Con il
ponte crollato a Genova è difficile fare su e
giù». Vive ancora di calcio e sulla costa ligure
è praticamente di casa, visto che da 11 anni consecutivi si
alterna alla guida di Entella, Rapallo, Savona, Chiavari, Lavagnese
e così via.
Celestini, il golfo del Tigullio e è la sua seconda
casa ormai?
«Forse perché mi ricorda la mia prima casa, Capri. Il
mare è azzurro come giù da me: ho iniziato a fare
l’allenatore nella mia isola, un bel progetto che alla fine
degli anni 90 in pochi anni ci ha portato in Eccellenza. Poi
all’improvviso si sono fatti fulminare dal dio denaro e il
pallone è scoppiato. Ed è stato un vero peccato. A
Capri c’è la mia fanciullezza, papà e mamma che
mi nascondevano i giornali per non farmi sapere che il Napoli aveva
perso perché sennò mi veniva la febbre e non andavo a
scuola, i primi calci nella Religione e Patria di Anacapri e nella
Mater Tiberio di Capri».
Che allenatore è Celestini?
«Uno all’antica, senza droni o altro. Porto un quaderno,
prendo appunti, ricordo quasi tutto a memoria, non ho molti
assistenti. Sono tra i Dilettanti perché non pago nessuno
per allenare. Ora la prima cosa che chiedono è se hai con te
uno sponsor. Ma che stiamo scherzando?».
Come giocano le sue squadre?
«3-4-3. E voglio sempre un Celestini in campo, ovvero uno che
gioca sempre addosso all’uomo, che si faccia sentire, che dia
qualche spinta ma senza far male a nessuno. Qui a Sestri ho 12
Under 20 perché a questi livelli non avrebbe senso fare
calcio se non con i giovani».
Lei era il cattivo della squadra?
«Calci li ho dati a tutti ma sia ben chiaro mai entrato col
piede a martello o dato delle gomitate. Certo, non facevo passare
nessuno. E mai fatto carognate».
In quegli anni, però, aveva confuso l’area
avversaria con il mare dei Faraglioni?
«Macché… pure il Var avrebbe confermato che erano
tutti rigori quelli che mi fischiavano. Tutti. Poi non era colpa
mia se riuscivo ad anticipare i mie avversari con la mia corsa.
Ingenui loro. Certo, un pochino accentuavo la caduta, magari era
molto scenica. Ma a toccarmi, mi toccavano. Poi quello era un anno
assurdo, e quando stai per morire tutto è
consentito».
From: Il Mattino.