(Italiano) Cori razzisti, stop tardivo: serve un vero giro di vite


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Ma è normale quello che abbiamo visto ieri? È logico
che il presidente di una squadra di calcio debba correre sotto la
pioggia battente, e attraversare il campo fin sotto la curva, per
placare i propri sostenitori infuriati non per una qualunque azione
di gioco – che pure sarebbe già troppo – ma per ragioni
inconsulte, irrazionali, anzi ignoranti? È ancora sport
quello che richiama sugli spalti una folla disinteressata alle
giocate, ai gesti atletici, all’impresa dei propri beniamini,
ed è invece vogliosa solo di sfogare istinti insultando gli
avversari, anzi peggio: la città degli avversari? Non
è normale certo, e non è logico. Ma soprattutto non
è accettabile. 

Ed è avvilente che si sia dovuti arrivare alla fine del
campionato, a una partita che non serviva più a niente se
non a confermare un secondo posto che – dal punto di vista sportivo
– grida vendetta, perché il tema dell’odio razziale
che perseguita il Napoli ad ogni sua gara in trasferta divenisse
tema non soltanto per stampa e tifoseria azzurra ma per
l’intero mondo del calcio italiano. Odio razziale, sì.
Non folclore, non dileggio. Disprezzo. Cori che inneggiano al
Vesuvio che ci deve lavare tutti, parole violente, insulti
irripetibili. Quegli insulti che, all’arrivo del bus dei
nostri calciatori a Torino per la partita contro la Juventus,
spinse Sarri al famoso gesto del dito alzato: gesto che,
inevitabilmente, i salotti buoni del pallone televisivo
condannarono con disgusto. «Se attaccano il mio popolo, io
reagisco», spiegò allora il mister. Che ieri a Marassi
è stato più svelto degli altri a capire che la misura
era colma. E ha chiesto l’intervento dell’arbitro
già nel primo tempo, protestando vistosamente con il quarto
uomo a bordo campo. Poi è successo quello che tutti hanno
visto: Milik che segna, i tifosi (?) sampdoriani che scandiscono i
loro cori vergognosi a voce sempre più alta, e la decisione
dell’arbitro – finalmente – di fermare il gioco.

From: Il Mattino.

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