Voleva fare il cantante, ma ha avuto tre vite che l’hanno
portato altrove, non senza compagnia musicale: ingegnere,
scrittore, regista. Luciano De Crescenzo oggi quasi novantenne
è tra i pochi ad aver davvero acchiappato Napoli, sulla
pagina, nello schermo e prima con la fotografia. Un grande amore,
che, forse, solo Isabella Rossellini è riuscita a
interrompere a tratti creando piccole distanze ogni volta che
tornava quello tra la città e l’ingegnere che raccontava
la filosofia al popolo. Per lui «Napoli è una
componente dell’animo umano» che è convinto di
trovare in ogni persona, anche non napoletana. Come è
convinto nonostante i mali di Napoli coprano i palinsesti
televisivi, in una Gomorra continua, che «Napoli è
ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana». In
fondo la sua discussione col camorrista (Nunzio Gallo) in
Così parlò Bellavista (film di culto, oggi) rimane la
più bella opposizione al male fatto in casa. «Nei miei
libri ho sempre cercato di raccontare la bellezza e la passione di
Napoli, senza però trascurare le sue contraddizioni».
De Crescenzo rappresenta anche una Napoli gaudente che sta
sparendo, in una normalizzazione che si lascia alle spalle il
miracolo e cerca il progetto. È rimasto un uomo curioso,
gioiosamente in allerta, sempre pronto a teorizzare, sempre pronto
a giocare. De Crescenzo è la leggerezza che consente di
andare oltre il dolore, che tiene a bada la malinconia, e che tenta
di darsi una risposta anche quando mancano le parole. E buona parte
di quelle dette sono nel documentario di Antonio Napoli, da poco
nei cinema, Cosi parlò De Crescenzo, che riassume le sue tre
vite da uomo d’amore.
Ora che tutti parlano di filosofia sarriana, possiamo dire
che Maurizio Sarri è un erede del professor Bellavista? E se
sì, dove si incontrano i due?
«Non so se possa definirsi in senso stretto un erede del
professor Bellavista, di sicuro però i due hanno alcuni
punti in comune, sono entrambi napoletani, particolare che non
è da sottovalutare, ed hanno una notevole capacità di
trasmettere e insegnare le proprie teorie filosofiche e di
gioco».
Che differenza c’è tra quel Napoli che le ha
regalato uno dei giorni più belli della sua vita vincendo lo
scudetto e questo che rischia di vincerlo?
«Non sono del tutto sicuro che oggi un singolo campione
basterebbe per vincere un campionato. Nel calcio moderno il
rendimento di una squadra è dato per metà dalle
qualità tecniche dei giocatori e per metà dalla
grinta e compattezza con cui la squadra affronta la partita. Ora
però, per ottenere questa determinazione è necessario
che tutti i giocatori sentano di appartenere a un unico
complesso».
Lei preferisce questo Napoli catalanolandese dove tutti
hanno una funzione o quello Maradoniano con l’eroe
solitario?
«Maradona è il genio assoluto, un condottiero, un
Achille dei nostri giorni, con il suo coraggio e i suoi punti
deboli. La squadra di Sarri invece, è una perfetta macchina
da guerra, ogni giocatore sa esattamente qual è il suo
ruolo. Ovviamente sono di parte, ma penso che il gioco del Napoli
sia in questo momento tra i più belli d’Europa, non ci
si annoia mai».
From: Il Mattino.