Sette giocatori in area, dal primo all’ultimo minuto del secondo spareggio mondiale: è bastato questo (oltre alla vittoria a Solna) per consentire alla Svezia di staccare l’ultimo biglietto per i Mondiali 2018. L’Italia no. L’Italia resta a casa dopo sessant’anni e il suo ormai ex ct Ventura – confermatosi inadeguato per questo ruolo anche negli ultimi 90’ del suo mandato – potrà trascorrere una tranquilla estate sulle spiagge della Puglia.
Si sono ascoltate e si ascolteranno lamentele sull’arbitro Lahoz, a cui sono effettivamente e incredibilmente sfuggiti alcuni falli da rigore nelle due aree a Milano. Ma non è questo che ci ha tagliato fuori dal Mondiale e fatto toccare il punto più basso. L’allenatore, prigioniero dei suoi limiti e della sua confusione, ha sbagliato l’impostazione della partita e ha lasciato in panchina Insigne. Neanche il quarto d’ora, come nel primo match, per il migliore del campionato: è stata una vergogna per il calcio italiano che l’attaccante del Napoli sia stato spettatore non pagante a Milano.
Una muraglia davanti al portiere Olsen, l’atteggiamento della Svezia dopo il successo di venerdì era prevedibile. La Nazionale è stata decisa ma non aggressiva né puntuale al tiro, sprecando il lavoro in fase di impostazione di Jorginho. Il regista del Napoli, alla prima da titolare, si è trovato inizialmente a disagio perché la squadra è abituata a giocare con il lancio lungo di Bonucci, poi però la sua personalità e la sua qualità sono emerse ed è diventato la fonte del gioco nella partita più complicata non del modesto ciclo di Ventura ma dalla storia calcistica azzurra.
L’italo-brasiliano una delle tre novità presentate nella sfida della disperazione: Florenzi, schierato da interno sinistro (fuori ruolo: altro errore di Giampiero), e Gabbiadini, in appoggio ad Immobile, le altre. Nel primo tempo le punte hanno faticato ad arrivare al tiro e in effetti i momenti più interessanti sono stati quelli nel finale, quando Immobile (decisiva la deviazione di Olsen che ha rallentato il tiro verso la porta vuota), Bonucci e Florenzi hanno avuto tre palle gol in cinque minuti (ma soltanto due i tiri nello specchio della porta nel primo tempo).
Prima c’era stata una manovra ricca di fatica ma non efficace con gli appoggi di Candreva e Darmian che erano puntualmente respinti da Lindelof e Granqvist. Anche al Meazza, davanti a settantamila italiani, gli svedesi hanno tentato di fare i duri, però la loro arroganza si è spenta. Il clima era elettrico, ne facevano le spese Chiellini e Barzagli subito ammoniti da Lahoz, distratto nel primo tempo perché vi sono stati tre episodi da rigore – due nell’area azzurra (tocchi irregolari di Darmian e Barzagli) e uno in quella avversaria (Augustinsson ha colpito la gamba di Parolo e non il pallone dopo 8’) – ignorati, così come a inizio della ripresa l’evidente ginocchiata di Lustig su Darmian non è stata punita. La Svezia ha protestato con vigore quando le è stato negato un rigore provando a invelenire ulteriormente il clima.
La confusione del vecchio Giampiero, fischiato prima della partita a San Siro e ovviamente anche dopo (tutta la rabbia si è scaricata su di lui), è stata confermata a inizio ripresa, quando ha dovuto studiare le mosse per rendere la manovra più efficace. E la sua lucidità calava con il passare dei minuti perché la Russia si allontanava sempre più. Ha lasciato ancora fuori Insigne (la Federazione avrebbe il dovere di chiedergli la ragione di questa grave decisione) lanciando contemporaneamente Belotti ed El Shaarawy a 27’ dalla fine. Le mosse della disperazione, con il Gallo che prendeva il posto di Gabbiadini – non ha funzionato da seconda punta, si è rivisto l’attaccante che non incideva mai nel Napoli: errata la scelta di partenza del ct – ed El Shaarawy che si piazzava sulla corsia sinistra. C’era il tempo per gli ultimi sussulti, come il tiro di Immobile e la deviazione di Lustig che aveva fatto tremare la traversa della sua porta.
Inesorabilmente l’Italia usciva dalla scena perché non c’erano il gioco e il coraggio che avrebbero dovuto supportare gli azzurri nella partita cruciale per il loro destino. Ventura non poteva dare identità a una squadra in due giorni dopo non esservi riuscito nei precedenti quindici mesi. È bastata la nazionale numero 25 nel ranking Fifa per riportarci indietro di sessant’anni, al Mondiale del ‘58, l’ultimo a cui non partecipò l’Italia.
Non poteva esserci un epilogo differente dopo quello che si era visto – anzi, sopportato – durante la gestione di un allenatore arrivato per caso sulla panchina della Nazionale, dopo aver giocato appena 14 partite di coppe europee da allenatore del Torino. Ma che esperienza avrebbe mai potuto avere? Gravi le sue responsabilità, gravi quelle di chi lo aveva scelto per un progetto partito male e finito peggio. Si volta pagina con inevitabile dolore, simboleggiato dalle lacrime di Buffon a fine gara. Ma servirà questa pesantissima lezione?
From: Il Mattino.