(Italiano) Malagò, appello ai presidenti: «Il calcio riscriva le sue regole»


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Giovanni Malagò, numero uno dello sport italiano, racconta di aver respirato l’aria olimpica anche durante il lockdown. «Ho rispettato per tre mesi le regole del gioco, limitandomi ad andare un paio di volte a settimana negli uffici del Coni e facendo passeggiate con i miei tre cani nel giardino di casa. Abito a poca distanza dal centro di preparazione olimpica dell’Acquacetosa: l’aria era quella, appunto».
 

Intorno a lei, però, tanta tensione.
«Dalle 15 alle 17 ore al giorno al telefono e in videoconferenza, partecipando alle riunioni del Cio nelle ore calde delle decisione sulle Olimpiadi e poi ascoltando tutti, dai presidenti delle federazioni agli atleti».

L’appuntamento di Tokyo è stato rinviato di un anno: è un tempo sufficiente per far disputare in assoluta sicurezza i Giochi? Lei ha fiducia?
«Parlerei di determinazione e buonsenso, più che di fiducia. Tutti gli sport hanno stabilito una deadline, magari aggiornandola di mese in mese. Il Cio ha fissato quello che era il rinvio più logico, di un anno. È stato lungimirante, lucido e concreto, perché erano necessarie garanzie complete, anche sulla partecipazione di pubblico perché è questa l’intenzione. Il problema non è far disputare una gara, mandare in campo 22 atleti per una partita di calcio. È tutto quello che c’è intorno a rendere l’evento complesso e a richiedere la massima attenzione».

Il calcio è ripartito ieri, con la prima semifinale di Coppa Italia Juve-Milan, e stasera si riapre il San Paolo per Napoli-Inter. Cosa cambia giocando a porte chiuse?
«Cambia molto, ma non tutto. Il calcio ha fatto di necessità virtù, perché si è messo in condizione di accettare delle limitazioni per ripartire».

A un certo punto era sembrato che lei, il presidente del Coni, fosse contrario alla ripartenza. Di più, il nemico del calcio.
«Mi è dispiaciuto per certi giudizi, c’è chi ha voluto creare una contrapposizione che non esiste. Che non può e non deve esistere. Ma il calcio non può avere canali privilegiati rispetto ad altri sport. Mi ero permesso di dire che sarebbe servito un piano B per la ripartenza e mi sembra che siano stati messi sul tavolo un piano B e un piano C. Lo avevo detto non per invadere il campo ma perché quel piano alternativo andava immaginato anche conoscendo la complessità di interlocuzione del mondo del calcio, le sue conflittualità, le peculiarità dei suoi rappresentanti. Di tutto questo nessuno può e deve stupirsi».

Ma non le è sembrato assurdo, dopo aver stabilito il calendario delle partite, alzare muri da parte di sedici presidenti di serie A contrari alla retrocessione? È normale questo tasso di litigiosità in quella che si autodefinisce Confindustria del pallone, con 3 miliardi di euro di fatturato?
«No, non è il momento di litigare. Però a torto o a ragione, ancora una volta non entro nel merito – spesso negli ultimi 15-20 anni non era il momento per assumere determinate posizioni. È un’isola particolare, quella del calcio».

Tra i presidenti con cui si confronta di più c’è De Laurentiis, che oggi lancia la sfida verso la conquista della terza Coppa Italia della sua gestione.
«Ci siamo sentiti frequentemente, anche su argomenti non sportivi. È stato molto vicino a mio padre quando si è ammalato».

Il Napoli si è affidato a Gattuso per chiudere una stagione di grande sofferenza: da allenatore, come era da calciatore, dà l’idea di chi non molla.
«È su un’altra panchina importante dopo quella del Milan, tutti sappiamo cosa rappresenta il Napoli nel mondo. Durante il lockdown ho visto e rivisto le partite del Mondiale del 2006 e quasi ci siamo dimenticati quale contributo abbia dato Gattuso per vincere la Coppa, con quella personalità e quella umiltà che ha anche da allenatore. Quando era al Milan, abbiamo talvolta fatto riflessioni sullo sport, sempre interessanti e concrete. Gli ho mandato un messaggio per la scomparsa della sorella e nella sua risposta c’erano tutte la sua forza umana e la sua sensibilità».

Le urla di Gattuso saranno urla nel silenzio degli stadi vuoti: ma fino a quando si giocherà senza spettatori?
«Lo decide il governo. Si sta ragionando su una possibile riapertura il 14 luglio. Dipende da tanti fattori, anzitutto dalla curva dei contagi. Sembrava fino a poche ore fa che il calcetto potesse ripartire lunedì 15 e invece c’è stato un rinvio. Sono situazioni si valutano».

Ma quale calcio rivedremo?
«Il calcio è ripartito con la Coppa Italia e con quattro formazioni leader. Immagino ascolti record in tv per le semifinali, anche se sarà interessante la verifica su quanti telespettatori sono rimasti collegati fino al termine delle partite, a meno che non siano tifosi delle squadre in campo. Perché c’è un’emotività diversa».

Lei sarà mercoledì alla finale di Coppa Italia?
«Prima andavo volentieri allo stadio. Adesso non dico che non andrò, però non la sento come un’assoluta priorità. Non ho deciso».

Ma anche il cuore (da romanista) l’ha sempre portata all’Olimpico.
«Ho visto che la prima in casa è fissata il 24 contro la Sampdoria. Ma quello è un giorno speciale perché un anno fa assegnarono all’Italia le Olimpiadi invernali del 2026 e quindi, d’accordo con Novari, ad del comitato organizzatore di Milano-Cortina, abbiamo intenzione di celebrare quel momento. Il calcio non è un must».

Il litigioso mondo del calcio riuscirà a individuare un percorso per le riforme dei campionati? Nessun altro Paese ha cento squadre professionistiche.
«Sarebbe un grave errore se il calcio non utilizzasse questa occasione, se non sfruttasse – rigorosamente tra virgolette – il momento. Vedo che tutti i protagonisti, dal presidente federale ai presidenti delle Leghe, sono d’accordo sulle riforme. Come nel caso del piano B, ognuno lo declina a modo suo, tirando il lenzuolo dalla propria parte. Bisogna cogliere questa straordinarietà: vale per la Federcalcio e per le altre federazioni, come per il Coni, perché ci dedicheremo anche noi alle riforme dopo la legge delega. La situazione che si è creata a causa del Coronavirus spinge a fare questo tipo di interventi».

C’è una forte preoccupazione lanciata dal mondo dello sport campano. Quando riapriranno le scuole, le palestre degli istituti saranno utilizzate per le lezioni e si ridurranno gli spazi per le attività sportive. Come si può intervenire?
«Colgo la preoccupazione di questa ampia rappresentanza dello sport italiano. Associazioni e società sportive dilettantistiche sono la base del movimento e, dato che non tutte hanno la possibilità di utilizzare palazzetti, si affidano alle palestre scolastiche negli orari extracurriculari. Ci stiamo confrontando con i presidenti delle federazioni perché non ci può essere il danno dopo la beffa, perché nelle nostre scuole già non si fa sport». 

From: https://www.ilmattino.it/sport/calcio/giovanni_malago_intervista_calcio_serie_a-5284797.html

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