Pippìa il ragù e Mertens segna. Elementare, Watson. Il belga è il cannoniere azzurro di mezzogiorno. Nona rete nelle partite mattutine. Il leoncino è tornato. Il leoncino segna e poi ruggisce. Risorge dall’astinenza (nove partite di campionato senza gol) e si trasforma. Sul lancio di Callejon segna con un gran destro dopo avere aggirato Caldara (in ginocchio il difensore atalantino nella ripresa). Segna e non molla più un pallone. Azzarda un pallonetto da metà campo e d’un soffio gli sfugge il raddoppio.
Il dado e il gol sono tratti. Pare che Cesare, varcando il Rubicone, abbia proprio detto il dado è tratto, cioè la decisione è presa, non poteva attraversare il fiume, lo fece, era Cesare. Ed era il 10 gennaio del 49 avanti Cristo. Ventuno secoli dopo Cristo, ma ancora in gennaio, Dries Mertens ha tratto il suo dado. Si è deciso a segnare varcando la porta di Berisha.
Stavamo in pensiero. Il nostro minuscolo ma combattivo artigliere aveva perduto le munizioni. Sempre generosamente impettito nella corsa, nel pressing sul portiere e sui centrali avversari, rientrando, correndo, svariando sulle fasce, non saltando una sola partita, risparmiandosene quattro inizi e tre volte uscendo prima del 90′, Dries Mertens, il nostro cannoniere-scoiattolo, Speedy Gonzales, il tracco più scoppiettante del tridente pirotecnico, sembrava ci avesse abbandonato e spento nelle gole l’urlo del gol.
Raccapricciante, avrebbe detto Conte. Sarri l’ha presa in silenzio. In silenzio è andato avanti Dries alla ricerca della brillantezza dei giorni migliori, degli scatti e degli arresti irresistibili, della zampatina prodigiosa sotto porta, il faccino velato di malumore.
Dopo avere segnato due golletti di testa, uno allo Shakhtar (Champions) e uno all’Atalanta (Coppa Italia) nelle ultime undici partite, Mertens è uscito dall’anonimato del cannoniere senza cannone, disertando tabelline di partite e referti arbitrali, ed è andato finalmente a segno contro l’Atalanta, nella trasferta tabù del Napoli.
Iscrittosi sotto il nome di Ciro Martinez al bowling della Mostra d’oltremare per giocare in santa pace senza essere assediato dai tifosi, Dries Mertens ha poi mantenuto l’incognito anche sui campi di calcio, per nove gare di campionato cannoniere non riconosciuto. Incredibile. Da falso nueve e falso goleador. L’Atalanta gli ha riaperto la porta.
A Bergamo, trasferta d’ogni delusione e batosta maledetta, il Movimento Tre Stelle (Callejon, Mertens, Insigne) realizza il suo programma di aprire l’Atalanta come una scatola di sardine. È la nona, rara e preziosa vittoria del Napoli nella città di Giacomo Manzù e Vittorio Feltri, la nona di Beethoven-Sarri con Inno alla gioia.
Doveva pur finire l’aria triste di Bergamo. Dovevano pur finire nella soffitta dei brutti ricordi le sconfitte al vecchio «Brumana» e le delusioni allo stadio «Atleti Azzurri d’Italia», tutto il tempo degli agguati nella Conca Fiorita dov’è il campo degli atalantini, e gli oltraggi delle disfatte passate e la macumba dei tempi moderni e di Gasperini, questo Dedalo del Duemila capace di intrappolare il bel gioco del Napoli di Sarri in un pervicace labirinto tattico. Doveva pur finire tutto questo.
Ora, c’è questa vittoria a Bergamo nella rocca tantissime volte inespugnabile, e a qualcuno questa vittoria risulta un segnale dell’annata della grande sorpresa, del traguardo luminoso oltre ogni sogno, speranza, limite e infortunio, l’orizzonte di gloria del Napoli bello e finalmente possibile.
Ora c’è un senso di sollievo e soddisfazione per un tabù infranto. Sinora erano state solo otto le vittorie del Napoli a Bergamo. Il vecchio reporter di tante storie, glorie e vicissitudini azzurre ricorda i penosi ritorni dalle trasferte orobiche, i gol di Kincses e Soerensen, di Hitchens, di Ganz, di Cristiano Doni, la doppietta di Ferreira Pinto, i gol di German Denis nella porta azzurra e Mondino Fabbri, aletta piccola e sfacciata prima del disastro coreano da c.t. della nazionale, negli anni Quaranta bersagliava Giacomo Blason, il sostituto di Arnaldo Sentimenti, e Casari.
L’incubo è finito. A Bergamo, dove segnarono Formentin e Amadei, dove Vinicio ha lasciato il timbro di due «doppiette», e Sivori e Altafini infilarono i loro gol solitari, come quello vincente di Bruno Giordano all’epoca di Diego, e Carminuccio Imbriani fece un gol indimenticabile, e poi vedemmo i gol di Cavani e Higuain, a Bergamo dove ha lasciato il segno di due gol anche Marek Hamsik, in questa trasferta d’ogni pena e smarrimento, stavolta finalmente è fatta. Dea Gratias.
From: Il Mattino.