Secondo gli psicologi e in generale gli esperti del pensiero, la fissazione che teniamo nel presente per le cose successe nel passato è assurda. La ragione è semplice: quello che è accaduto nel passato è giustappunto passato. Non c’è più. Non a caso i latini per indicare il passato utilizzavano la parola «perfetto» e cioè «completato, chiuso, compiuto». Dunque, a voler essere precisi e razionali, il passato non esiste più o meglio esiste soltanto nei nostri ricordi, quando noi lo riportiamo alla vita attraverso la memoria. Ebbene, questa visione delle cose è destinata ad essere profondamente turbata dopo la semifinale di Coppa Italia giocatasi ieri allo stadio Diego Armando Maradona di Napoli.
Dopo aver rivisto in campo contro l’Atalanta, sull’erba sacra di Fuorigrotta, la difesa a tre, i lanci lunghi in avanti, i contropiedi e il catenaccio, per tutti quanti è tornato in vita il passato. Un passato fatto di Mazzarri senza giacca che invoca il rispetto dei minuti di recupero, Campagnaro che si butta in avanti dimentico dei doveri difensivi, Lavezzi, Hamsik e Cavani a regalare magie. Il punto, però, è che, come detto, quel passato non esiste più, in particolare non esiste più con la maglia del Napoli Cavani. E allora perché ieri ci abbiamo pensato tutti quanti? Perché quando alla fine il risultato è stato un pareggio senza reti in casa la confusione nella propria testa è stata tale da non sapere cosa fare? Essere felici per non aver perso o essere arrabbiati perché si è pensato innanzitutto a non prenderle? La risposta potrà darcela solo la partita del ritorno. Se il passato, infatti, è solo un ricordo, il futuro invece è una speranza. E allora speriamo che i conti fatti da Gattuso siano giusti.