Nell’oscura trama dello Spezia all’ottantanovesimo spunta la luce Raspadori. Dopo una partita di tentativi andati male, tiri alti, palle perdute, dribbling a metà, in pieno teorema calcistico: quando ormai l’attaccante atteso è stato seppellito da tutto lo stadio e dal resto dei tifosi a casa, quello segna. A parte l’ironia, Giacomo Raspadori meritava i novanta minuti e le attese, aveva tutto il diritto di prodursi in tentativi vani, e di seminare il dubbio, per poi ristabilire priorità, come spetta ai calciatori invocati.
Ha segnato un gol che pesa tantissimo, perché ha salvato il Napoli da un pareggio che avrebbe affossato l’entusiasmo post-Champions, invece così quella spavalderia continua fino alla partita con i Rangers. Il gol di Raspadori si somma a quelli di Zielinski, Anguissa e Simeone, diventando un ponte di gloria. Ed è soprattutto una liberazione dalla cupezza degli ultimi minuti, dallo scoramento che sopraggiungeva, con tutto il carico delle ombre passate. Sfilavano già le numerose giocate a vuoto di Elmas, il gol mancato da Lozano, e la solita distrazione difensiva di Mario Rui, con l’aggiunta della delusione Raspadori. Ma poi il gol è sempre una specie di amnistia riabilita gli errori, rimette in circolo l’allegria che ribalta tutto. Rimette in colloquio Raspadori con le aspettative, ricollocandolo al centro del sogno. Ogni volta che l’attaccante mette il pallone nella porta giusta e regala la vittoria alla sua squadra: torna in paradiso, lasciando l’inferno della delusione e delle maledizioni da spalti.
Raspadori è passato rapidamente da eroe a estraneo a sopportato per poi guadagnarsi i gradi di salvatore. Il calcio si è velocizzato non solo nel gioco ma anche nei sentimenti, non si fa in tempo ad abituarsi più a nulla che subito cambia, una porta girevole che somiglia a un tritacarne. Ma un gol colloca subito l’autore nel recito dei beati, e ora Raspadori sta al sicuro, può tornare a sbagliare, incaponendosi nelle giravolte e nei dribbling o nei tentativi di tiri più da rugby che da calcio. Può di nuovo funamboleggiare cercando una nuova palla da mettere in porta per una vittoria, ha di nuovo il respiro regolare di chi torna a galla, e può anche ridere.
Perché quando il suo estro sembrava sfinito, consumato dalla maglia difensiva di Luca Gotti uno dei migliori allenatori nel nuovo panorama, uno che trasforma le sue squadre da pizzeria in ristoranti gourmet Raspadori ha trovato l’ultimo istinto possibile, un pallone sporco di Lozano, lisciato da Gaetano, che sembrava inseguirlo per salvarlo, e questa volta nemmeno Dragowski è riuscito ad opporsi. Il gol sembra irraggiungibile, i rimbrotti erano in crescendo, e il destro di Raspadori l’ultima possibilità: un gancio wagneriano che abbatte lo Spezia e la sua folla di terzini. È un tiro di esattezza geometrica che disegna la follia del calcio, quella migliore, dell’entusiasmo e non dei soldi, un vortice di gioia che finisce nell’angolo migliore.
E questa attesa prima del gol, con tutti gli errori che l’hanno preceduta, deve servire a Raspadori per crescere e a Spalletti per riflettere. Per ora è andata via la ruggine, si è messo il piede in caldo, e si comincia a fare sul serio soprattutto mancando Osimhen per qualche settimana ampliando il credito, ma serve la generosità di Kvaratskhelia e i suoi rotoli di perizia. Raspadori è apparso ancora troppo patrizio rispetto all’area di rigore, abitato da una nobiltà calcistica che adesso non serve. Solo il gol lo ha messo in salvo dalle critiche. Ma porta stupore: ed è già un punto d’appoggio.