Marcatura a uomo, difesa a tre e intensità di gioco con e senza palla. Ecco Ivan Juric, pochi proclami, molta applicazione. E ora si gode una squadra che gli somiglia, diretta figlia della filosofia di Gasperini suo allenatore e maestro con la libertà di poter sbagliare, e il carattere di prendere un gol dal Napoli a otto secondi dal calcio d’inizio con un errore difensivo di Dimarco che poi pareggia e abbraccia Juric e poi di mettersi a macinare gioco fino ad avvolgere il Napoli, a renderlo inoffensivo, involuto, inutile nonostante i disperati tentativi gattusiani. È curioso che Juric abbia fatto la sua tesi a Coverciano sugli aspetti motivazionali, quelli che è evidente a tutti mancano al Napoli e al suo allenatore che pure li sbandiera sempre. Juric contiene l’avversario con una serie di uno contro uno, e poi affida a Zaccagni la libertà da trequartista di aprire corridoi: come succede con il secondo gol al Napoli segnato da Barak con un diagonale che infila Meret. Per tutta la partita nonostante i lancioni di Demme il Napoli non ha rinunciato al palleggio in difesa proprio contro una squadra che è brava ad annientarlo, infatti non è mai diventato innesto di azioni da gol, e Insigne, smaniosissimo e ossessivo, forse nel tentativo di rimediare al rigore sbagliato in Supercoppa, si è autostancato, ripiegando più del solito a prender palloni da smistare, ma riuscendo poco a penetrare l’area di rigore del Verona. Anche perché dopo l’errore la difesa di Juric è tornata al meglio, ricordandosi i comandamenti dell’allenatore croato che sarebbe piaciuto a Gianni Brera: la grinta individuale innestata sulla venatura collettiva, è un sistema linfatico che funziona, anche perché non ha grandi nomi, ma per ora molta invidia da parte delle altre squadre. Juric ha fatto salire il livello tattico del Verona se ne è accorto Gattuso e sta facendo anche salire il livello tecnico dei singoli. Insomma: un gran lavoro, in silenzio, scavando punti, guadagnando partite e non prendendo gol o rimediando quando li prende. A dimostrazione che la calma serve al calcio e alla vita più della concitazione, delle urla e delle minacce.
Alla fine il metodo Juric spacca il Napoli, lo lega e atterra. Una lezione di calcio gentile, lenta costruzione con ribaltamento da zero a uno a tre a uno, con coscienza zen che pare freddezza, o peggio naturalezza rispetto al calore e all’iperproduzione caciaresca del calcio napoletano. In Juric convivono anche alcuni aspetti del basket dove il concetto di ruolo fisso viene superato, con questa versatilità e chiedendo elasticità ai suoi finisce per avere una compagnia di calciattori stabile capace di fare ogni ruolo, soprattutto dal centrocampo in poi. Questo ha anche dei lati negativi, segnano in tanti ma poco, ma l’impressione è che Juric abbia a cuore la qualità e l’intensità dell’azione più che la quantità, lavora di sottrazione pallone e spazi e poi di rilancio senza strafare. Questo lascia immaginare per lui, nei prossimi anni, un avvenire di grandezza e anche qualche titolo, e per quest’anno una Europa League non così lontana dopo questo girone d’andata. A Verona, in poco tempo, ha dato stabilità, certezza, pensieri, gioco. Niente di complicato, un calcio pragmatico a base fisica e per nulla noioso. Juric è un duro vero, che non ha bisogno di manifesti da conferenza stampa, uno che crea una comunità e poi ci lavora, intrecciando tattica e motivazioni, con una dinamicità e una porosità tattica che emergono partita dopo partita. Era difficile dopo gli anni al Genoa rimanere immune, sopportare condizioni balcaniche di esonero e richiamo, eppure l’ha fatto, ha conservato la sua cultura di gioco e ora è uno degli allenatori che ha più futuro.