Il giorno dopo quell’evento Gino Palumbo scrisse sul Mattino: «Che lo stadio fosse bello, superbo, grandioso, si sapeva: lo si era ammirato nelle fotografie, nelle visite, nelle descrizioni. La folla vi andò non per conoscerlo: per salutarlo». Come fosse un nuovo amico da accogliere in famiglia. E nella storia del Napoli. Inaugurato il 6 dicembre 1959, lo Stadio del Sole – dedicato a San Paolo perché qui sarebbe sbarcato nel viaggio che lo portò a Roma – è il fedele compagno degli azzurri da sessant’anni. Ne ha viste tante, non tutte belle. Ci sono stati i campioni e gli scudetti, il primo festeggiato il 10 maggio 1987 con il trionfale giro d’onore guidato da Diego Armando Maradona. Ma anche le partite in serie C e serie B e le violenze, momenti che i tifosi hanno voglia di dimenticare aspettando che possano tornare quei giorni, anche se c’è l’orgoglio della presenza di fatto costante in Champions League, con la quasi certezza che il 10 dicembre verrà conquistato il passaggio agli ottavi.
LA SVOLTA
La casa del Napoli era lo stadio Collana, al Vomero. Accogliente però cominciava ad essere inadeguata perché cresceva la passione intorno alla squadra, dunque anche il numero degli spettatori. Si ricorda ancora il Napoli-Juventus del 20 aprile 1958, in cui l’arbitro Concetto Lo Bello ammise cinquemila tifosi a bordocampo perché non c’erano posti liberi sugli spalti. Era stato già avviato il progetto per la costruzione del nuovo stadio: fu scelto quello di Carlo Cocchia, che ebbe al suo fianco Luigi Corradi e Gerardo Mazziotti. Il plastico venne presentato al sindaco di Napoli e al presidente del Napoli, che all’epoca era la stessa persona: l’armatore Achille Lauro. La consegna dell’impianto, dopo 7 anni di lavori, avvenne il 2 dicembre 1959 e le chiavi furono messe nelle mani di Attila Sallustro, l’ex bomber paraguaiano (106 gol in 258 partite con la maglia azzurra), nominato direttore. Stadio aperto al calcio quattro giorni dopo, con la partita più sentita dai napoletani, quella contro la Juve. Era un piccolo Napoli, nelle prime 9 giornate di campionato aveva conquistato appena 7 punti e quello era davvero un giorno speciale. Ottantamila spettatori, 70 milioni di lire di incasso, quell’entusiasmo tramortì i bianconeri, battuti per 2-1 con i gol di Vitali e Vinicio, O Lione che negli anni Settanta avrebbe poi infiammato da allenatore il popolo azzurro, importando il modello olandese. Un autentico simbolo del calcio, questo 87enne gigante brasiliano adottato da Napoli. Non erano giorni lieti, quelli. Il Napoli chiuse al tredicesimo posto il campionato 1959-1960 e nel successivo retrocesse in B. Sarebbe riemerso a metà degli anni Sessanta, con l’arrivo di Altafini e Sivori, aspettando i giorni della gloria vissuti con Maradona, per cui le porte dello stadio si aprirono il 5 luglio 1984 per una presentazione in grande stile – il marketing e le dirette televisive non esistevano – seguita da sessantamila tifosi che pagarono mille lire per vivere una grande emozione.
LA PASSIONE
Palumbo aveva subito colto che quel gioiello architettonico non era «soltanto» un nuovo stadio. Potendo accogliere migliaia di tifosi – fino a 80mila e sarebbero stati anche di più nelle stagioni di Maradona – avrebbe dato una spinta particolare al Napoli, stanco di essere un comprimario nel calcio anche se il suo proprietario era il ricchissimo armatore Lauro. Il dodicesimo uomo in campo è appunto nato qui, con la folla che correva allo stadio perché aveva voglia di sognare lo scudetto. La realtà, invece, era lottare per la salvezza, con frequenti capitomboli. Il presidente Roberto Fiore avrebbe portato a Napoli i due fuoriclasse sudamericani Altafini e Sivori, raggiungendo un altissimo numero di abbonati. L’imprenditore, recentemente spentosi poco dopo i 90 anni, avrebbe voluto acquistare anche Pelè con una sorta di finanziamento popolare. La Perla Nera ringraziò ma non si mosse dal Santos, con cui avrebbe giocato un’applauditissima amichevole a Fuorigrotta nel 1972. Sì, si è visto anche lui qui e pure Crujff, sempre in un’esibizione, nel 78.
Il record di fedelissimi tesserati si sarebbe registrato nel 1975, quando fu acquistato Beppe Savoldi, Mister 2 miliardi: 70.405. Questa muraglia umana incoraggiava i calciatori e i più timidi erano conquistati da questo calore, come confermò quel venticinquenne friulano che fu preso dal Mantova nel 1967, Dino Zoff. Naturale per il genio del calcio – argentino più napoletano dei napoletani – calarsi in questa realtà e renderla vincente con la sua classe e il suo carisma. Ma Napoli è stata appassionata anche quando la squadra ha lottato per la salvezza o ha vissuto in una triste dimensione, come accadde il 26 settembre 2004 quando cominciò in serie C l’avventura del Napoli di De Laurentiis, 3-3 col Cittadella che sarebbe passato comunque alla storia perché sugli spalti vi erano 45mila spettatori. Napoli non tradisce mai e lo stesso è accaduto anche quando qui ha giocato la Nazionale.
LA BUGIA ARGENTINA
C’è una storia falsa raccontata a proposito della semifinale dei Mondiali del 90, quella del 3 luglio. Maradona aveva invitato il suo popolo a sostenere la Seleccion, però i napoletani non tradirono e tifarono per la Nazionale di Vicini, eliminata per l’uscita sbagliata di Zenga su Caniggia e gli errori dei rigoristi Donadoni e Serena. Peccato che qualche azzurro abbia detto altro e chi – ovviamente assente a Fuorigrotta – vi abbia creduto. L’Italia manca da sei anni, dopo il restyling da 25 milioni per le Universiadi possono riaprirsi le porte di uno stadio dove adesso deve riaccendersi una scintilla. Il Napoli ha finora una media di 32mila spettatori e il problema non è rappresentato né dal comfort, perché il San Paolo è diventato accogliente, né dai prezzi, perché gli abbonamenti hanno costi accessibili. Il congedo da Sarri ha causato un effetto tecnico e sentimentale e quella compattezza invocata da Ancelotti a inizio stagione non si è avuta perché i risultati della squadra sono stati molto altalenanti e l’ammutinamento negli spogliatoi del 5 novembre rischia di provocare un ulteriore distacco. La notte di Liverpool comincerà a far ridurre le distanze tra pubblico e squadra e a far ripopolare lo stadio? Intanto, caro e non più vecchio San Paolo, buon compleanno.
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