(Italiano) Napoli, basta disfattismo: è troppo presto per dire che è già finita


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Siamo brocchi o fuoriclasse? Vinceremo lo scudetto o neanche il torneo di Roccacannuccia? Possiamo fare paura all’Europa o dobbiamo averne paura noi? 

Insomma: noi, chi siamo noi? A quale Napoli dobbiamo credere, a quello bello e vincente visto contro il Liveropool o a quello incasinato e perdente che ci ha intossicato la cena l’altra sera? E soprattutto: come si fa a scendere da questa giostra impazzita, da questa altalena incessante sulla quale il cuore di noi poveri tifosi non sa più quali emozioni provare? Perché diciamolo, nel triste day after della sconfitta con il Cagliari, davanti a una classifica impietosa che dopo cinque giornate ci piazza a sei punti dalla prima e a cinque dalla seconda, nonché indietro di parecchie lunghezze rispetto ai risultati degli ultimi anni, la sensazione fastidiosa della dissociazione avanza. Una volta eccellenti, la volta dopo da suicidio.

Siamo (ancora) uno nessuno e centomila, tante quante sono le formazioni sperimentate da Ancelotti, tante quante sono le posizioni in campo ogni quarto d’ora assunte dei calciatori, e quanti sono i risultati che arrivano dopo partite ogni volta diverse, sempre giocate sul filo dell’imprevedibilità. Dopo le certezze fin troppo inossidabili di quello di prima – l’attuale voltagabbana che quando era comandante veniva puntualmente criticato per la sua estrema fedeltà ai soliti undici – la variabilità elevata a sistema dell’inappuntabile pluridecorato mister sopracciglio garantirà pure suspence e plusvalenze, ma qualche microgrammo di fiducia, alla lunga, fra i tifosi rischia di rosicchiarlo. Quella classifica, la più sfavorevole da molti anni, sarà pure bugiarda – contro gli strisciati ci è andata come è andata, l’altroieri di certo non meritavamo di perdere – ma di sicuro canta: alla fine vince chi ha più punti, e perderne per strada sei in cinque partite non è esattamente di buon auspicio.

Certo possiamo prendercela con la sfortuna, neanche li vogliamo contare i pali colpiti dal povero Mertens, per non dire dei centimetri mancanti allo specchio della porta che hanno negato un paio di volte la rete all’indomito Llorente. Sicuro che siamo stati sfortunati: trenta volte abbiamo tirato in porta, secondo statistiche ufficiali, e il Cagliari appena cinque; trenta palloni, trenta proiettili sul portiere avversario e neanche uno andato a segno. Mentre loro un contropiede e via, inutile infierire sul nostro dolore ricordando com’è andata. Ma è anche vero che la fortuna dà, la fortuna prende: o abbiamo già dimenticato il rigore fortunatamente materializzatosi nell’area del Liverpool al San Paolo, e quello fortunatamente ripetuto da Insigne dopo il primo flop, domenica nello stadio di Lecce?

Dunque niente scuse, non cerchiamo attenuanti: fortuna e sfortuna fanno parte del gioco, ciò che fa la differenza è buttarla dentro. E buttarla dentro è più difficile, se si va in campo più con supponenza che con entusiasmo, più con autocompiacimento che con rispetto dell’avversario. La solita questione delle piccole che ci fanno soffrire, detto in altre parole: e magari è pure colpa nostra, di noi tifosi che ci siamo infiammati un po’ troppo, che siamo partiti in quarta sognando marce trionfali solo perché abbiamo finalmente una rosa un po’ più ampia, pregustando rivincite straordinarie solo perché le nostre concorrenti hanno cantieri aperti e noi lo stesso allenatore da due anni.
È presto, prestissimo per smettere di crederci, perciò ci crederemo ancora. Guai a far mancare il nostro sostegno alla squadra, noi che, come l’esordio in Champions insegna, siamo l’uomo in più.

Il dodicesimo in campo, e sempre nella stessa posizione. Eppure anche il dodicesimo uomo può venir meno, se l’altalena si fa estenuante, se a cancellare una gioia arriva ogni volta una delusione. La più grande sarebbe vedere arrivare per prima al traguardo non la strisciata, che quest’anno ha i suoi problemi di riorganizzazione, ma quell’altra, la milanese finora a punteggio pieno. Un’altra squadra, non la nostra, spezzare la lunga striscia bianconera. È presto, prestissimo, può ancora accadere tutto: ma la posta in palio è questa. Ed è bene tenerlo presente. Insieme alla consapevolezza che, appena alla quinta giornata, il pallino non è più nelle nostre mani: sono loro a dover sbagliare, noi possiamo solo farci trovare pronti. Non più in ordine sparso, e finalmente giù dall’altalena.
 

From: Il Mattino.

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