(Italiano) Napoli, Insigne è un caso: Ancelotti vuole di più


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La tribuna di Genk è un monito per tutti: l’attaccante azzurro vuole essere leader ma il tecnico ha la necessità di fare turn over

NAPOLI – Hanno fermato il tempo o forse no, hanno semplicemente ritoccato le lancette, riportandole un po’ indietro, e s’è avvertito ancora quel mistero persino buffo di perdersi nei paragoni: non è cambiato assolutamente nulla, si è ancora prigionieri di un interrogativo, un enorme irrisolvibile quiz, che galleggerà intorno al Napoli per sempre o almeno sino a quando, e una volta per tutte, Lorenzo Insigne non lascerà che il cronometro corra seriamente in avanti. Però adesso, mentre l’eco d’una serata calcisticamente burrascosa attraversata in tribuna a Genk resta lì nell’aria, c’è ancora chi si chiede chi sia compiutamente Lorenzo Insigne e quanto valga per (il) Napoli, cosa rappresenti la sua figura e se abbia un senso o un valore quella fascia che gli è stata consegnata per «anzianità di servizio» e c’è da credere anche per autorevolezza tecnica.

Caso Insigne, lo sfogo (e il chiarimento) del fratello.  vuole di più

Ma è un dubbio perenne, aleggia sin dall’epoca di Benitez, s’è avvertito poi con Sarri e ora è stato fragorosamente rilanciato da Carlo Ancelotti, che con la sua «scelta tecnica» in Champions ha riaperto, per una notte o due si vedrà, un dibattito che si arenerà alla prossima palombella e virerà nel cielo dell’iperbole con un tiro a giro che andrà a spegnere nel «sette» le polemiche, sistemandoci su, come d’ordinanza, un bacio sulla maglia e sullo stemma del Napoli che sta dalle parti del cuore.

Questa è una storia nel suo incedere banale, l’hanno spiegato i latini che è dura essere profeti in Patria, e diviene (quasi) impossibile poi se tra una veronica e un tunnel si finisce per ingabbiare il proprio talento in una visione centralista del calcio: Insigne è il Napoli ma sino a un certo punto, non è cioè quel ch’è stato Totti per la Roma – tanto per cominciare – eppure vorrebbe esserlo, avvertendo intorno a sé non la venerazione ma almeno la considerazione che ritiene di essersi guadagnato nel suo settennato e che invece strapazza a modo suo al primo spiffero di «normalità» con atteggiamenti che vengono ritenuti inappropriati. Il turn over gli va stretto, eppure è un’esigenza del calcio moderno, non ci si può sottrarre, va accolto con lucida razionalità, mentre invece allo scugnizzo fa venire il prurito, lo spinge a modificare il suo impatto, ne altera atteggiamenti che Ancelotti non gradisce, né da lui e né da chiunque altro, e ne pregiudicano la concentrazione.

«L’ho visto poco brillante» è la sintesi di una riflessione ispirata dall’analisi dei dati scientifici ma anche dalle chiacchierate d’una settimana riempita da espressioni un po’ equivoche che hanno indotto ad un intervento autorevole (e anche autoritario) di un allenatore che ha regole e principi.

La lezione di Genk a Insigne è un messaggio a gestire se stesso, a dare un senso compiuto a qualsiasi seduta di allenamento, a rimanere dentro il recinto d’un rigore professionale che non può sopravvivere a giorni alterni e in base all’umore; e poi, anche, ad evitare di lasciarsi andare, lanciando parole nel vento che, si sa, a volte vengono trascinate fuori da uno spogliatoio e rientrano semmai distorte. Insigne è un «caso» che rimane lì magari per queste altre ventiquattro ore che rappresentano la cartina di tornasole per cogliere la stessa vorace applicazione mostrata (sorridendo e chiacchierando anche col suo tecnico a chiarimento avvenuto) in allenamento ieri, quella silenziosa dedizione che però stride con ciò che suo fratello Antonio ha postato sui social («Nemmeno le palle di dire la verità: un gol o un assist ogni 63 minuti…giusto, è poco brillante») e che diviene un’onda anomala da fronteggiare, mentre intorno allo «scugnizzo» servirebbe una barriera, un frangifl utti, una protezione che eviti le tormente. Perché il destino va indirizzato da sé.

From: Corriere Dello Sport.

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