Come il Visconte Medardo di Terralba, il personaggio di Italo Calvino, era diviso a metà tra il Gramo e il Buono, così Amin Younes e Adam Ounas sono due calciatori dimezzati, non da una palla di cannone ma da un pallone. Non c’è una guerra contro i turchi, come nel romanzo, ma c’è una partita che serve a poco al Napoli, e che finisce per vincere l’Empoli, trovando uno spiraglio per non retrocedere (e questo fa piacere). Carlo Ancelotti schiera Ounas e Younes, che fin dall’assonanza cognomica, sembrano essere due mezze parti da sommare, e lui li somma, scoprendo che insieme non funzionano. Incastrando tutti nel dilemma. Era una partita facile una guerra semplice almeno sembrava, dove si poteva sperimentare, e dove i due, da parti diverse, potevano liberare fantasia, trovare intenzioni solidaristiche, persino unirsi in area, ma invece sono rimasti lontani dal gol e da sé, due calciatori a mezzo servizio, e con l’aggravante dell’ironica drammaticità iniziale d’essere confusi oltre che di appartenersi. Entrambi il gol l’hanno bordeggiato, ci sono andati vicini, con un tiro a testa, traditi dall’irruenza di voler prevalere l’uno sull’altro e viceversa. Quasi annullandosi, nella partita che li vedeva titolari e liberi d’incontrarsi, invece si sono persi, senza ricongiungersi. Hanno dimostrato d’essere due calciatori dimezzati che son bravi almeno in questa stagione ad agire e dominare solo una frazione di tempo, quasi una sovrapposizione tra il loro essere e il poter avere in cambio sono uno spicchio, una parte esigua di partita e di gloria.
Italo Calvino riderebbe molto di questa condizione frazionata fin dall’origine: Amin Younes (padre libanese, madre tedesca) e Adam Ounas (genitori algerini ma cresciuto in Francia) che si fraziona nel Napoli, scrivendosi con molti spazi bianchi attivi, con molte attese, subentri, piccole conquiste, fantasie, gol, ma sempre nel breve, sempre in un’ombra di tempo, come se l’essere completi non gli appartenesse, quasi che temessero l’intero, la ricostituzione. Due mezzi calciatori che amano ricamare col pallone, tenerselo, giocarci, e giocando illudere, praticando la magia della confusione, dopo aver esordito con quella delle parti. Questa di Empoli era uno dei tentativi di unirli, di provare a farli crescere, tagliando loro le bende di mezzi calciatori, a mezzo servizio, con mezze prestazioni, e mezzi protagonisti della partita, potevano svoltare, invece si sono illanguiditi, re-immergendosi nei propri dilemmi se non i più angosciosi sicuramente in quelli amletici che da loro arrivano ad Ancelotti fino a raggiungere i tifosi del Napoli. L’intreccio dei calciatori dimezzato si è unito a quello dei loro compagni distratti, molto lenti e molto lontani dal gioco fino a trasformarsi in una sconfitta che se è vero che non pregiudica niente è anche vero che una squadra che vuole essere grande non deve concedere. Verrebbe da dire che anche il Napoli come la scommessa persa dei calciatori dimezzati è apparsa una squadra dimezzata in cerca della sua ragion d’essere e che non l’ha trovata, anzi, è inciampata e torna a casa perplessa. Più di lei, i due dribblomaniaci dimezzati, che, con maligne intenzioni, hanno cercato l’area, serpigni e maliziosi, ma hanno trovato nei soldati di Andreazzoli degli avversari capaci di stargli addosso, di non farsi ingannare dalle finte delle mezze parti, dai tocchi a metà, dall’andare con incertezza, claudicanti, ma non come Garrincha, piuttosto stampellati come Medardo di Terralba, e quindi acchiappabili, prevedibili, fermabili. L’esercizio della loro disparità si è visto a intermittenza, un balbettio pallonaro appena appena convincente. Tutto quello che li caratterizzava, soprattutto l’istinto mancino d’essere dilaniato, la voglia di essere o almeno di provare ad essere intero, la nostalgia per l’interno, non è mai apparsa, rimanendo spirito primordiale. La loro tendenza inconfondibile al ritmo, all’avanzare con voluta caducità ingannevole è rimasta cencio, dissipazione, trasandatezza, senza mai farsi vera essenza, azione apprezzabile. Alla fine il loro paradosso d’essere mezzi da tragedia è divenuta commedia, e ora qua si fa nota a piè pagina, ricordo calvinesco, evasione fantasiosa e quindi mezzo per sfuggire alla sconfitta subita. L’obiettivo di Ancelotti rimane di farne un calciatore interno, e quindi ritenterà, ma il timore dopo Empoli è che siano dimezzati, che vivano nell’irrazionalità, che amino il baratro e la mezza luce, e che rifuggano la coagulazione, sfuggendo a se stessi prima ancora che al proprio ruolo, rifiutando il transfert che il campo chiede. Non sono un problema ma l’esito di un problema più grande di loro, e che li coinvolge, la sconfitta diventa la certificazione della mancata unione, oltre delle loro effimere prestazioni. Non si deve perdere la volontà né smettere di tentare i ricongiungimenti, il ripristino dell’unità, o almeno la crescita per entrambi.
From: Il Mattino.