«Sì, sono un calciatore. Sono un calciatore nero. Ma non sono solo questo. Sono musulmano. Sono senegalese. Sono francese. Sono napoletano. E sono un padre». È un Kalidou Koulibaly inedito, sincero, un pò amareggiato, ma sicuramente grato quello che si è raccontato al The Players Tribune, il portale fondato dall’ex stella di Yankees Derek Jeter.
«Credo che i bambini capiscano il mondo meglio degli adulti – inizia il difensore del Napoli – La prima volta che ho veramente vissuto il razzismo nel calcio è stato contro la Lazio qualche anno fa (Lazio-Napoli del 3 febbraio 2016, ndr). Ogni volta che prendevo palla sentivo i tifosi che facevano versi da scimmia. Mi dicevo che forse me lo stavo solo immaginando. Ci sono stati dei momenti in cui sarei voluto uscire dal campo per mandare un messaggio, ma poi mi sono detto che era proprio quello che si aspettavo che facessi».
Koulibaly continua parlando dell’arbitro Irrati che ha sospeso la partita per tre minuti e che era dalla sua parte «Mi ha detto: «Kalidou, sto con te, non ti preoccupare. Facciamo finire questi buu. Se non vuoi finire la partita fammi sapere». Penso che sia stato molto coraggioso, ma gli ho detto che volevo finire la partita. I buu non si sono fermati. Dopo il fischio finale camminavo verso il tunnel ed ero arrabbiatissimo, ma poi mi sono ricordato di qualcosa di importante. Prima della partita c’era una giovane mascotte con cui sono entrato mano nella mano, mi aveva chiesto la maglia e gli avevo promesso di dargliela dopo la gara. Indovinate la prima cosa che mi ha detto? «Chiedo scusa per quello che è successo». Mi ha colpito molto. Questo bambino chiedeva scusa per non so quanti adulti, e la prima cosa a cui pensava era come mi sentivo io. Gli ho detto: «Non fa niente. Ti ringrazio». Questo è lo spirito di un bambino. È questo che manca al mondo in questo momento».
From: Il Mattino.