Barcellona e Napoli fanno parte della geografia maradoniana, non un caso che il Bara appena saputo della sfida di Champions League abbia messo in rete un video con Diego Maradona e Lionel Messi che immaginificamente giocano con la stessa maglia dribblando il tempo. Ma il tempo di Maradona a Barcellona non è stato felice come quello di Messi, il tempo felice di Messi a Barcellona ricorda quello di Maradona al Napoli, in un rovesciamento borgesiano. Fin dall’inizio delle due stagioni spagnole (82-83 e 83-84) con l’esordio al Mondiale poi vinto dall’Italia Maradona, carico di aspettative catalane, aveva appena firmato passando per otto milioni di dollari, una cifra mai vista, dal Boca Juniors al Barça: deluse alla prima partita contro il Belgio, illuse con due gol contro l’Ungheria, fu picchiato nella partita contro El Salvador e poi in quella contro l’Italia da Claudio Gentile e fu espulso contro il Brasile. Bilancio: un mondiale di frustrazione. Non andò meglio a Barcellona, con una epatite virale, il più grave infortunio della carriera col basco Andoni Goikoetxea che gli entra sulla caviglia «sentii il rumore come di un legno che si spezzava, e poi capii» , le convalescenze, il cattivo rapporto con l’allenatore tedesco Udo Lattek poi sostituito, per la gioia di Diego, da César Luis Menotti , le liti al limite dell’incompatibilità con il presidente Josep Lluís Núñez e la droga: «Cominciai lì e nella maniera peggiore: quando uno ci si trova, in realtà vorrebbe dire di no ma finisce per sentire se stesso dire di sì». In mezzo ci furono anche delle giocate alla Houdini e dei gol strabelli come quello al Real Madrid con Maradona che balla sulla linea di porta e soprattutto fa ballare il difensore madridista Juan Josè o la palombella alla Stella Rossa di Belgrado recitata anche ad Emir Kusturica.
Napoli, il Barcellona lancia la sfida: «È la partita di Maradona e Messi»
Non funzionò e non lo trattarono bene, tanto che Messi e gli altri argentini possono dire di aver beneficiato di un trattamento migliore per il senso di colpa generato dalle stagioni che Maradona disputò lontano da Barcellona. Tutto quello che non andò è sintetizzabile con la storia che anni dopo raccontò lo stesso Maradona: prima della Coppa del Rey nell’83, Maradona e Bernd Schuster erano stati invitati alla partita d’addio di Paul Breitner, ma la società non voleva che andassero, e così Diego trascinò il compagno tedesco nella sede della loro squadra per essere ricevuti dal presidente Núñez e farsi dare permessi e passaporti, e, invece, il presidente si fece negare, e Diego guardandosi intorno ebbe una idea da bambino, disse: «Bene, fin quando lui non esce col mio passaporto io rompo trofei». E cominciò afferrando El Trofeo Teresa Herrera cimelio del più vecchio torneo spagnolo lanciandolo e rompendolo, mentre Schuster urlava: «Tu sei pazzo», e Diego rispondeva: «Sì, sono pazzo perché non tirano fuori il mio passaporto, e più passano minuti più trofei lancio». Andò a finire che Núñez uscì e gli restituì il passaporto ma non servì perché gli negarono il permesso di andare alla partita. E nonostante questo il Barcellona vinse la Coppa del Rey, contro il Real Madrid di Alfredo Di Stefano e Stielike. Anni dopo Diego dirà nella sua autobiografia di amare Madrid più di Barcellona, cercando di allontanare quegli anni, di cancellare la nascita del clan Maradona così i giornali chiamavano il suo giro e facendo di Núñez un Ferlaino al ribasso: «Non era nemmeno catalano ma basco» e arrivando ad essere più feroce di Montalbán con la città che si stava trasformando per le Olimpiadi. L’ultima partita col Barcellona 5 maggio 1984 contro l’Atletico Madrid finì in rissa. Aveva scelto di andarsene, lasciando un contratto in bianco, contro l’idea di restare del suo agente Cyterszpiler, aveva scelto Napoli.