L’unico che rimanda indietro il karma, che riporta la speranza con una trovata tecnica estemporanea è Hirving Lozano. L’unico che possiede il veleno invocato, l’unico che continua a correre e lottare nel gran cantiere gattusiano che è il Napoli. Una continua trasformazione, esperimenti su esperimenti, un po’ per via degli infortuni e delle vittime del virus, e un po’ per il procedimento empirico dell’allenatore. Cambiano i moduli, saltano i centrocampisti, si invertono le fasce ai terzini, ma Lozano, destra o sinistra, continua a essere il migliore in campo. A volte dà l’impressione dell’illuso o di quello che ha capito qualcosa che gli altri ignorano, intanto lui sconfitta dopo sconfitta seguita a regalare piccole grandi cose.
Da un recupero del pallone da uomo ragno a un gol che è una rivincita miracolata da una respinta corta di Pierluigi Gollini, portiere dell’Atalanta. Caparbio si rialza dopo l’acrobazia in mezza rovesciata sporca, una alzata scomposta con brio per agganciare il pallone toccato quel tanto che basta a sbilanciare la presa sicura del portiere, respinta e pronta ribattuta in porta. È il punto più alto del cantiere gattusiano, quando sembrava esserci la possibilità del pareggio e della finale di Coppa Italia, ma i soliti errori difensivi hanno dato il terzo gol all’Atalanta. Lozano ha fatto una partita meno brillante del solito ma rispetto al primo tempo della sua squadra i suoi rimpalli fortunosi, la sua ricerca del dribbling, le corse sulle fasce alternandosi da una all’altra lo consegnano alla partita come il migliore in campo, perché elettrico, speranzoso, per niente arreso a differenza dei compagni.
Se c’è una luce in questa stagione da montagne russe con tante sconfitte, errori, e questa eliminazione, è proprio Lozano. La sua velocità, la sua flessibilità, le stille di energia, le sue discese solitarie, i tentativi di dribbling, e anche i gol, uno che finisce le partite con il carico delle urla di Gattuso e molti chilometri percorsi. Lozano comincia a possedere una esattezza calcistica che parla al futuro del Napoli che non può essere questo, non appartenendo alla noia dei tempi come il primo giocato contro l’Atalanta, diventa la bandiera del domani. È la fantasia che si mostra adesso per dire che anche dopo sconfitte come questa ci può essere altro, le sue buffe capriole, le sue scivolate, i suoi ripiegamenti sono la prova che Lozano può e deve diventare centrale, se ha fatto così bene in una stagione del genere, con cambi continui ed esperimenti, può ancora crescere e fare anche meglio. Lozano diventa il giocatore archetipo, quello che resiste alle cadute, agli smarrimenti, alle assenze, agli sprechi e ai litigi, continuando a produrre gioco e divertimento, puntando e saltando l’uomo, aggiungendo seppure idealmente forza a una squadra che sembra non avere.
Tanto che quando poi i suoi compagni ritrovano almeno qualche lampo di gioco sembrano comunque stare al di sotto di Lozano, non riuscendo mai a mettersi in pari. È lui che riapre la partita, è lui che tiene a bada lo scoramento, è lui che brandisce animosamente la squadra. È l’unico bambino infinito, gli altri son cresciuti e sono già ingabbiati nella noia dei risultati, arresi all’orizzonte del risultato, lui, invece, continua a macinare palloni anche quando non serve più. Sembra connesso con un altro tempo, è l’oltre. Possiede il talento e la capacità di sperperarlo, divertendosi, in una squadra che smarrisce l’identità per larghi tratti di tempo, costringendolo a partite in solitario di volontà e barbarici strappi, creando il momento Lozano, la sua piccola epopea messicana di assalto all’area di rigore.