Basta l’audacia e il sentore di un Dries Mertens a mezzo servizio al Napoli per tornare alla vittoria. Seppure ancora stropicciato l’attaccante belga torna al gol che gli mancava da novembre e da troppi giorni in salotto. Già nella partita di Europa League col Granada s’era vista la sua importanza, il suo peso in area, anche se cammina va bene, serve, infastidisce e proietta. Col Benevento è stato più attivo a riprova di un ritorno anche fisico e con la capacità sciamanica di sentire il pallone che deve andare in porta. Una deviazione al tiro sporco di Ghoulam e il pallone finisce alle spalle di Lorenzo Montipò, portiere del Benevento. Gli basta questo, non deve fare altro. Mertens indirizza il pallone dove mancava, torna a segnare quando era necessario, e poi sgamba alla ricerca della sua forma migliore. Intanto ristabilisce priorità e dimostra di avere ripreso il dialogo con la porta avversaria, la rete chiama, e lui risponde, avrebbe detto Luigi Necco. Complice un altro belga, Daam Foulon, difensore del Benevento, che non sale e tiene in gioco Mertens: gli basta un giro di valzer in area, una stoccata e la tanto agognata tranquillità, che permette al cantiere gattusiano di portare a casa una vittoria, poi sancita dal gol in tandem di Politano e Di Lorenzo, un vero e proprio gollonzo, questa volta tocca citare la Gialappa’s Band.
Mertens appartiene a quegli stranieri che si consegnano alla città di Napoli e specchiandosi nel golfo trovano una biografia, scoprono il nome alle spinte del loro carattere, così, niente meglio del suo opportunismo in area di rigore, ricorda il furto con destrezza di certi sciuscià: col pallone si può fare, è l’evoluzione politicamente corretta, di quello che era vietato e si faceva per fame. Insomma, Mertens, è uno dei pochi connessi con la città e il suo spirito, annodato e allusivo, in un repentino esercizio di certe azioni. Svelto di piede e di pensieri, si addentra, buca, salta, e segna. È nel mezzo del casino, dove accadono i fatti, cioè dopo gli undici metri del dischetto del rigore. Giovane popolano dell’area di rigore, si spera che torni ad esercitare quella che sembrava una dolce tirannia, e che lo ha portato a superare Maradona nel numero di gol segnati. Poi sono sopraggiunti i problemi: acciacchi e strappi, affaticamenti e porta ristretta. Un periodo grigio, con lontananza belga, e ora il ritorno, nel modo migliore: quasi una partita intera e un gol. Dopo uno scorcio di partita e un quasi gol. A rincuorare non è solo il rivederlo in campo ad occupare una posizione difficile da tenere, ma come riesca a riallacciare il suo rapporto col gol. Eppure c’è arrivato tardi e per costrizione, come quegli attori che accompagnano l’amico e si ritrovano protagonisti. Ecco come è andata, e ora regge, rimedia, recupera, e segna ancora. Non è poco, non era scontato, in questo Napoli, poi, d’esperimenti, tentativi, e ancora troppe ombre. Ma Mertens prima che un grande attaccante è un cuore allegro, porta risate non solo quando segna ed esulta, anche prima e durante, ha una leggerezza che lo fa tentare cose impossibili e spesso riuscirci e sopportare gli errori. Un pensiero debole che sovverte difese e aree di rigore. Che scardina porte e soddisfa bisogni. Mertens, il suo ritorno, la ricerca della sua migliore forma fisica, è una delle poche possibilità concrete per il Napoli e per Gattuso per inseguire il quarto posto e l’accesso alla Champions League. Più cresce Mertens, più il Napoli recupera speranza. È in lui che si può misurare il resto della stagione. Per ora, tanta era l’assenza, basta anche un Mertens camminante per vincere.