Paradossi del calcio. Il benvenuto in serie A Khvicha Kvaratskhelia lo riceve da un brasiliano che gioca per la prima volta nel nostro campionato. Si tratta di Dodò, terzino destro della Fiorentina che per un’ora si mette sulle tracce dell’attaccante georgiano del Napoli e sostanzialmente non gli fa toccare un pallone. E allora succede che dopo le fanfare delle prime due giornate, i tre gol, l’assist per Zielinski a Verona, arriva il primo vero passaggio a vuoto di Kvaratskhelia. Nessuno parli di bocciatura, sia chiaro. Perché quanto fatto vedere con Monza e Verona non si cancella certo con pennarello viola del Franchi, ma sta di fatto che quello di Firenze è sembrato il fantasma del funambolo infermabile delle prime due giornate di campionato. Nessun guizzo, nessuna giocata sensazionale, ma soprattutto nessuna giocata decisiva. Dopo una settimana il georgiano ritorna sulla terra e Spalletti lo richiama presto in panchina (dopo un’ora di dolce far niente) per mettere dentro Elmas e cambiare modulo. Eppure l’unico vero pericolo per la porta di Gollini nasce da una giocata di Kvaratskhelia: stop, finta rapida sul diretto avversario e palla al centro telecomandata sulla testa di Lozano. Peccato solo che il messicano fallisca la più facile delle occasioni, altrimenti la serata del georgiano avrebbe preso tutt’altra piega. E con lui anche quella di tutto il Napoli.
Senza Kvara, allora, il Napoli cambia faccia, e soprattutto cambia modulo. Spalletti ridisegna la squadra concede l’esordio ufficiale a Jack Raspadori. «Potevo fare meglio. Volevamo portare a casa i 3 punti. E ora ripartiamo dalle cose positive per ripartire subito. Si gioca ogni 3 giorni e dobbiamo concentrarci per fare meglio», spiega a fine partita Raspadori. «Mi piace giocare nella zona centrale del campo e sono a totale disposizione dell’allenatore. Sono felice di essere qui e voglio mettere i compagni nella condizione di fare il meglio. Allenarsi qui è molto motivante e stimolante. Devo essere equilibrato e lavorare a testa bassa. Il lavoro è l’unico mezzo per arrivare agli obiettivi».
Con il baby italiano arrivato dal Sassuolo, gli azzurri cambiano pelle. Dal 4-3-3 iniziale si passa al 4-2-3-1 a trazione ulteriormente più offensivo. Raspadori si piazza alle spalle di Osimhen e prova a dargli un po’ di quell’ossigeno che Milenkovic ha iniziato a togliergli perfettamente dall’inizio della partita. Raspadori galleggia tra le linee. Un po’ attacca la profondità, un po’ viene incontro ai compagni nel tentativo di palleggiare. Poi Spalletti rivoluziona il suo attacco e tira fuori dalla mischia anche il nigeriano e Lozano. Tutto nuovo, insomma. Con Simeone e Politano entra anche Ndombele (al posto di Lobotka in mezzo al campo) e il Napoli prova a mettere pressione alla Fiorentina sfruttando il fattore freschezza e quello sorpresa. Di Raspadori colpisce in primis la voglia. Perché si sbatte come un disperato. Corre a tutto campo e vorrebbe mangiarsi il mondo su ogni pallone. Lo spirito è quello giusto, anche se i meccanismi con il resto della squadra meritano qualche rivisitazione. Anche quando, nel finale di gara, la Fiorentina inevitabilmente ha un leggero calo fisico, un tiro di Giacomino impegna Gollini. È il segnale che la voglia non è tutto, ma ci sono anche qualità e determinazione nel cercare sistematicamente la porta avversaria. Manca l’appuntamento con il gol – che per un attaccante non è il massimo della vita – ma lascia spazio ad ampi margini di crescita da qui in avanti. Insomma, buone notizie per Spalletti che adesso sa di avere una freccia in più nella sua faretra azzurra per armare l’arco in vista di una stagione lunga e ricca di impegni dispendiosi. Meno brillante Simeone, che ha l’alibi dei pochissimi palloni utili ricevuti.