Napoli, addio ai sogni di gloria: noi, sospesi tra la rabbia e l’orgoglio


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Promosso. Ce la ricorderemo questa parola, nell’ultima domenica di campionato, se la classifica resterà, com’è prevedibile, quella di oggi. Promosso. Una parola, un sorriso, un pollice alzato che marchieranno a fuoco il verdetto finale, lo scudetto consecutivo numero sette e l’intero percorso che avrà condotto la seconda squadra di Torino per l’ennesima volta sugli scudi. Nella domenica del naufragio del Napoli, uscito dall’Artemio Franchi con le ossa rotte dopo aver subito la doccia gelata dell’espulsione di Koulibaly in pratica alla sua prima azione, non è della delusione, del dolore e anche della rabbia per un risultato che nessuno si aspettava, che si può ragionare. Non della imbattibilità perduta dopo due anni, allo stesso tempo motivo di ulteriore dispiacere ma anche di orgoglio. 

Ma della scena sconcertante, per non dire patetica, che ha visto protagonista l’allenatore Allegri negli spogliatoi del Meazza poco dopo la partita vinta dalla sua squadra contro l’inter. Come è andata lo sappiamo tutti, fa male anche ripeterlo. L’Inter che resta in dieci per un fallo giudicato da espulsione non dall’arbitro Orsato ma dal Var, quando, da regolamento, non lo si poteva più invocare; dall’altra parte un calciatore graziato inspiegabilmente dopo due interventi da rosso, e persino un gol platealmente irregolare che Orsato si è deciso ad annullare dopo un tempo apparso lunghissimo. E dopo tutto questo, dopo che tutta l’Italia aveva cominciato ad indignarsi mettendo in rete ironie feroci sugli arbitri sensibili e sugli oggetti preziosi che hanno al posto del cuore – perché sì, c’è un’Italia che detesta chi gioca e vince cosi- Allegri cosa fa? Incrocia il quarto uomo Tagliavento, un arbitro non un magazziniere, e riferendosi a Orsato gli fa i complimenti, dice che «è andata proprio bene, è stato bravo» e che quindi a suo giudizio è «promosso».

Naturalmente si dirà che questo dialogo non prova niente, che si trattava di due battute cordiali e nulla più, come niente significa il labiale «recupero e vinciamo» che forse è stato pronunciato dallo stesso Tagliavento o forse no. 
 

From: Il Mattino.

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