A Madrid, dove al posto della dea Cibele avrebbero messo volentieri
la sua statua, nella stagione in cui ha battuto il record di
vittorie consecutive (22) di Leo Beenhakker e poi ha conquistato la
«Decima» Champions della storia del Real, avevano il
coraggio di dire: «Però, quel Carlo fa giocare sempre
gli stessi». Già, poco turnover. Ma ti pare? Stessa
cosa al Bayern Monaco, dove pure c’era una specie di formazione
vintage con Lewandowski, Muller, Alaba, Hummels, Kimmich e Vidal
che andavano in panchina solo quando erano a pezzi. Ora, invece
Ancelotti, amante della buona cucina, si diverte a mescolare gli
ingredienti anche in campo: e lo farà nel Napoli fino a
quando non sarà contento della propria creatura.
Ancelotti è alla ricerca di un equilibrio e di una
compattezza che dipendono dagli automatismi, dalla condizione
atletica e dalla voglia di sacrificarsi oltre che dalle
qualità individuali. Mai formazione uguale a quella di
prima, fino ad adesso. E lo stesso sarà col Torino,
domani.
Potrebbe riposare questo o quello, un Insigne o un Allan o persino
un Koulibaly o un Hysaj, e al loro posto potremmo trovare un Verdi,
un Malcuit o un Diawara. Non è questione di correttivi:
Ancelotti cambia e cambierà ancora. Un modo per tracciare
una riga tra sé e il suo predecessore. Non si tratta di
essere aziendalista o meno, di voler piacere al nuovo presidente.
È una questione di impegni: Carlo deve e vuole valorizzare
la rosa che ha. Fa parte degli obiettivi che ha fissato con De
Laurentiis al momento dell’intesa. E che ha condiviso. In
primis perché crede negli uomini in panchina, è
convinto che non sono vere riserve e poi perché l’idea
di far crescere la banda di ragazzi in maglia azzurra è la
sua grande scommesse. Lui continua giustamente a esaltare il
materiale che ha, non può e non deve fare altro:
l’arrivo della Champions, l’uso della panchina sarà
una risorsa.
From: Il Mattino.