Guardiola: «Un futuro in Italia? Perché no…»


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La domanda è sempre la stessa da più di un secolo: conta di più il gioco o il risultato? Ci sono tre tecnici, tre allenatori, che sono riusciti a mettere d’accordo tutti rispondendo che è la bellezza che alla fine vince. Arrigo Sacchi, Carlo Ancelotti e Pep Guardiola insieme a pochi altri eletti (Johan Cruyff, Rinus Michels) sono riusciti ad incantare il mondo e, allo stesso tempo, arricchire una bacheca che parla oggi di 10 tra Coppe dei Campioni e Champions League vinte tra campo e panchina. Ci sono riusciti, chi inventando il pressing martellante e il gioco universale (Sacchi), chi la manovra corale e la flessibilità dei moduli (Ancelotti), chi il tiqui-taca che ti ubriaca ( Guardiola) e che un domani potrebbe sbarcare anche in Serie A: «Perche no..», risponde sornione Guardiola ricordando che neanche la Germania sembrava al tempo meta possibile e poi invece. Diversi tra loro ma tutti e tre con la stessa filosofia che ha reso grandi tante altre grandi figure (Herrera, Clough, Ferguson, Mourinho, Lattek, Hitzfield, Lippi) ma che rispetto a loro difettavano di una semplice cosa: la genialità.

acchi, Ancelotti e Guardiola – insieme per una pomeriggio sul palco dell’Auditorium di Santa Chiara a Trento per il Festival dello Sport organizzato da Gazzetta e Trentino – una risposta ce l’hanno da sempre: prima viene il gioco, poi il risultato. Che non significa che conta più il primo del secondo, ma solo che il secondo sarà sempre ‘figliò del primo. Forse è anche per questo che il pallone made in Italy oggi annaspa, spiega Sacchi: «L’Italia non è tra i Paesi calcisticamente più evoluti, ha una resistenza culturale al cambiamento, una visione che le impedisce di avvicinarsi al futuro, ma guarda piuttosto al passato», dice ricordando che «solitamente chi gioca meglio vince, ma soprattutto chi vince giocando bene acquisisce un’autorità morale che chi vince giocando male non acquisirà mai». Pep Guardiola rende onore a Cruyff («ci ha aperto gli occhi e fatto capire cos’era il nuovo calcio»), bacchetta quanti sintetizzano con il semplicistico tiqui-taca la sua rivoluzione («è un termine che non mi è mai piaciuto, troppo scherzoso») e veste i panni della modestia ripercorrendo i suoi straordinari successi: «Io non ho inventato nulla, ho solo avuto la fortuna di avere 7-8 giocatori che sono cresciuti nella cantera, che giocavano insieme da quando avevano 8-10 anni, diciamo che c’è stata una combinazione di fuoriclasse e questo non capita spesso. Oltre a questo avevano, avevamo, voglia di mangiarci il mondo. Il nostro sistema di gioco ci permetteva di far girare la palla per portarla dove volevamo, tutto qui. Sono però contento che sia stato apprezzato. Se tra 20 anni si parlerà ancora di questa squadra significherà che qualcosa di buono abbiamo fatto», ha aggiunto Pep che non chiude in futuro alla Serie A:

«Perchè no? Anni fa – ricorda – mi chiesero se mai sarei andato ad allenare in Germania», («Lascia stare», lo interrompe con una battuta Carlo Ancelotti). «Eppure – prosegue Guardiola – anni dopo ci sono andato per davvero, quindi rispondo perchè no? Chi lo avrebbe detto che avrei imparato il tedesco. L’Italia resta un’opzione. E poi si mangia tanto bene», conclude Guardiola che parla di crisi passeggera per il calcio italiano: «Restate un grande Paese, ora serve riflessione ma siete un Paese che vinto tanto e per tanti decenni, avete vinto a livello di nazionali e di club – conclude – Sento dire che l’Italia ha un calcio difensivo ma difendere bene è una grande qualità e voi siete maestri in questo. Difendere bene è un talento, tutti noi allenatori siamo ossessionati dall’idea di non prendere gol, sono solo modi diversi di difendersi. L’insuccesso del Mondiale è un momento così, è capitato anche all’Argentina, alla Pellegrini: ha vinto tanto ma anche perso e questo non le ha impedito di vincere di nuovo. A volte capitano periodo così, tecnici e federazioni devono trovare le risposte giuste ma voi avete qualità speciali».

From: Il Mattino.

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