In diciannove anni di gestione, Aurelio De Laurentiis ha portato il Napoli dall’inferno al Paradiso. Chissà quanto sembrano lontani, nella mente del patron azzurro, quei giorni di settembre 2004, quando prese tra le mani il club fresco fresco di fallimento. Nel mezzo, tra quel 2004 e lo scudetto della banda Spalletti, c’è stato davvero di tutto e di più. Compresa una gestione meritevole di attenta analisi, che Vincenzo Imperatore, consulente finanziario e saggista, ha svolto nel suo libro “A scuola da De Laurentiis” (Ultra Sport, 2023).
«Il modello “delaurentiisiano” – spiega Imperatore – è un modello di gestione imprenditoriale atipico, e per questo innovativo per il mondo del calcio, adattato a un contesto socio-economico come quello del Sud Italia, di natura familiare e non familistica, che si basa su tre pilastri fondamentali. Il primo, l’assoluta preminenza del marketing – e quindi anche della comunicazione – nel disegno organizzativo. Un marketing che non è solo maglie e gadget, ma che si realizza anche attraverso la valorizzazione del brand e l’introduzione di una serie di innovazioni, come l’autoproduzione delle maglie, la novità della panchina lunga – voluta da De Laurentiis per non mandare in tribuna giocatori convocati, che avrebbero rischiato di vedere il proprio valore depauperato -, la gestione dei diritti di immagine, il terzo sponsor sulla maglia e molte altre ancora.
Mosse per convincere gli stakeholders.
Il secondo, una struttura organizzativa snella e ibrida, formata da dieci figure al massimo, che rappresentano punti di sintesi e si interfacciano per una progressiva ricerca dell’efficienza. La struttura organizzativa, coerente con il prodotto calcistico attuale, dev’essere funzionale alla rilevanza attribuita ai flussi organizzativi con pochi ed efficienti livelli organizzativi. Basti pensare a come è strutturato il sito web del club. Terzo e ultimo punto fondamentale, un controllo anaffettivo dei conti: il Napoli vince lo scudetto dei bilanci da oltre 15 anni, per effetto della gestione poco emotiva e mai presuntuosa dei numeri. La gestione emotiva rappresenta invece uno dei principali limiti dell’imprenditoria italiana».
Vincenzo Imperatore è convinto che, una volta letto il suo libro, i tifosi azzurri vedranno Aurelio De Laurentiis in un’ottica diversa. «Oggi il calcio è un business di dimensioni planetarie, tra le prime dieci aziende al mondo per giro di affari. Il tifoso che continua a interpretarlo secondo gli schemi classici, quelli del “la squadra si ama, non si discute”, non solo non si sente più il dodicesimo uomo in campo, ma rischia anche di diventare un’appendice sacrificabile del movimento. Fino a poco tempo fa al tifoso non interessavano le plusvalenze, gli aumenti di capitale o gli squilibri di bilancio. Continua a sognare l’acquisto d campioni, la vittoria di trofei importanti. E allora, se il tifoso provasse invece a ripercorrere le tappe della gestione di un club di calcio come il Napoli di De Laurentiis, se solo provasse per un giorno a indossare gli abiti del presidente della sua squadra del cuore, e se immaginasse di investire anche i suoi risparmi nel rischio imprenditoriale del Calcio Napoli, cosa penserebbe? In sintesi: se andasse a scuola da De Laurentiis?».
Diciannove anni possono sembrare tanti o pochi, dipende dalle prospettive. Quando è arrivato a Napoli, in quel settembre 2004, De Laurentiis era carico di ambizioni e con pochi capelli bianchi. Oggi, dopo aver regalato ai tifosi un sogno promesso e inseguito così a lungo, il patron si ritrova a dover scegliere la strada giusta per il Napoli del futuro. «De Laurentiis ha una visione strategica fuori dal comune – afferma il saggista -, le dichiarazioni rilasciate per il libro e i relativi studi mi portano a pensare che uno dei suoi emisferi cerebrali sia esclusivamente orientato agli affari. Nei prossimi dodici mesi, capitalizzerà la valorizzazione degli asset aziendali, dai calciatori al brand. Farà fare un ulteriore upgrade al Napoli, proiettandolo nell’Olimpo del grande calcio europeo. Il mio, per lui, è un invito: continuare a gestire il cuore e la pancia dei napoletani, che in termini di capacità imprenditoriali possono crescere molto osservando e studiando questo modello».
Questa stagione è stata un continuo bagno di gioia per i tifosi azzurri, culminata nei grandiosi e sfarzosi festeggiamenti per lo scudetto, partiti lo scorso 4 maggio – ufficilamente, perchè Napoli festeggiava già da qualche mese – e che termineranno chissà quando. Ma il rapporto tra la città e il suo presidente, in questi diciannove anni, è stato soprattutto un complicato odi et amo, sicuramente con più odi che amo. Spesso la gestione e la comunicazione di ADL sono stati bersagio di critiche, anche piuttosto aspre. «Sento dire che è antipatico – conclude Imperatore -, mi verrebbe da rispondere: e chi se ne frega? La comunicazione di De Laurentiis non è mai lasciata a caso. Al contrario, siamo di fronte a una strategia estremamente precisa che, con l’ausilio dei social network, ha metabolizzato il principio secondo cui il politicamente corretto sia diventato insopportabile. Il patron azzurro ha capito che bisogna parlare alla pancia dei tifosi. È lui stesso un brand: di fatto, in termini di rapporto con il mondo esterno, il Napoli è proprio Aurelio De Laurentiis. In altri termini, il personal branding del presidente è stato creato per farsi un nome nel mondo dell’intrattenimento sportivo, e riuscire a influenzare in anticipo colleghi, fornitori e partner, in modo che essi scelgano il brand Napoli a discapito di altri».