Un attaccante grosso. Andrea Petagna appartiene ai calciatori che devono lottare con se stessi e poi con gli avversari. Ha un fisico da rugbista, un collo da centrotavola, e dalla lotta continua con se stesso ha imparato la tenacia che gli frutta moltissimo. Quando Politano è entrato nell’area di rigore del Benevento, con due curve strette come farebbe Valentino Rossi, lo ha seguito e si è fatto trovare nello spazio giusto per appoggiare in porta e dare al Napoli un gol e una vittoria che sembravano non voler arrivare. Lorenzo Insigne dopo aver pareggiato, aver visto un gol annullato e averci provato in ogni modo: quasi non ci credeva più, e in quel momento di sconforto che è arrivato Petagna, che è proprio il giocatore per le partite sporche e senza sbocchi. È l’uomo che ti porta via dallo sconforto, perché ha le spalle per farsene carico. Un attaccante di fisico e potenza, caparbietà e inciampi, ideale per i campi duri. Ha bisogno degli svantaggi e delle situazioni difficili, degli assalti disperati e della pressione, deve sentire le nebbie della provincia anche se c’è il sole, quel brivido che ti dice che stanno per lasciarti a terra. Insomma, è un attaccante di un altro tempo anche se è giovane. È roba da film di Bud Spencer, non a caso Dries Mertens con lui sull’Instagram gioca a fare il Terence Hill, e funzionano. Petagna è scomposto ma con i piedi buoni, grosso ma agile, un elefante che balla tra i cristalli, un ossimoro che gioca a pallone. Ha la faccia da Garrone no, non il regista ma il personaggio del libro Cuore la sua generosità lo precede di due dribbling e infatti a Bergamo con l’Atalanta e a Ferrara con la Spal oltre che con i gol funzionava anche come uomo assist. E non è un caso che Lorenzo Montipò, portiere del Benevento, che aveva parato tutto o quasi, deviando, impedendo e salvando la sua porta e il pareggio, sia stato vinto da Petagna che ha tirato in porta con la buona volontà di chi viene da lontano e porta un peso, di chi ha bisogno di ritrovare sicurezza e numeri, e deve pure dire che serve a qualcosa negli ultimi sprazzi di partita che Gattuso gli concede. Uno che ha un bisogno fisico di stare nella mischia e occupare l’aria di peso e forza e segnare, e portare a casa i tre punti aprendo varchi nelle difese delle squadre ostili come quella di Pippo Inzaghi. Ben fatto soldato Petagna, ora torna in panca se ne riparla sul prossimo campo di periferia. E il bello del soldato Petagna è che lui torna e sorride, torna e ubbidisce, torna e aspetta la prossima possibilità, il prossimo eversore Politano che dribbla e appoggia al centro.
Petagna è il calciatore che si usa quando si vede il fumo delle macerie nella difesa avversaria, ma non c’è ancora la capitolazione, l’uomo della spallata, non importa se scomposto o goffo, l’importante è che sfondi. Anni fa, Massimiliano Allegri gli mandò un sms che lui conserva ancora: Puoi sbagliare tutto, ma non l’atteggiamento. È difficile che lo sbagli, può sbagliare un gol o un assist, ma non l’atteggiamento, soprattutto nel ruolo da subentrante che ora ha nel Napoli. La condizione è proprio di chi viene messo in campo quando tutto è sul punto di cadere ma ancora non cade. L’attaccante goffo ha un vantaggio: non è prevedibile, in ogni suo movimento c’è la ricerca di una scissione, di una smarcatura prima da sé e poi dal reale marcatore. È questo il vantaggio, figlio di una anomalia, non ha un andamento regolare del gesto, ma ogni volta se ne uscirà con una leggera differenza, e in quella differenza c’è la possibilità di fuga, il farsi altro, non importa se esteticamente giusto o meno.