Non semplicemente il motto di una squadra. Molto di pi. Il simbolo di una citt, di un paese, che la Catalogna, con la propria lingua, la propria identit, le proprie idee. Un patrimonio storico e culturale ben definito. Ms que un Club: una scritta che aleggia sul Camp Nou e che tatuata nell’anima di ogni sostenitore blaugrana. Perch quella del Barcellona è prima di tutto una filosofia, altrimenti non arrivi a essere uno dei club più titolati al mondo (5 Champions, 5 Supercoppe europee e 3 Mondiali per club, oltre alle 26 Liga portate a casa) oltre che uno dei più ricchi. Ecco, il valore del Barcellona è di 1 miliardo e 180 milioni di euro, non esattamente due spiccioli. Anzi.
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LA FILOSOFIA
Tutto nasce dal basso, ovvero da un progetto che in casa Barcellona si fonda su basi solidissime. Il modello catalano è diventato talmente tanto importante da aver reso parola di dominio pubblico il termine «Cantera». In Italia è un concetto decisamente lontano, visto che il settore giovanile raramente è considerato un punto di partenza per le prime squadre. Soprattutto a Napoli, dove pure De Laurentiis una mezza idea l’aveva avuta: nel 2011 andò anche a fare un sopralluogo nelle strutture del club catalano per provare a esportare il modello anche in Campania, ma l’idea è rimasta tale. A Barcellona, invece, è una priorità, e i risultati danno pienamente ragione al club. Basti pensare che nell’undici base della squadra allenata da Valverde ci sono ben quattro elementi che arrivano dal settore giovanile. A Messi, Sergi Busquets, Pique e Sergi Roberto, si aggiunge anche il giovanissimo Fati: 17 anni e già 3 gol tra i professionisti in stagione. Il primo in Champions lo ha segnato una settimana fa, a San Siro contro l’Inter, il gol che ha spedito in Europa League la squadra di Conte. Non male come battesimo nella competizione più importate d’Europa. Fati è solo l’ultimo anello di una fucina che oramai produce talenti da decenni. Basti pensare che tutti i successi del terzo millennio del Barcellona sono stati firmati da gente come Puyol, Iniesta e e Xavi, tutti cresciuti nel settore giovanile blaugrana e diventati leggenda sul campo.
NON SOLO MESSI
Basterebbe un colore, anzi un materiale, per racchiudere tutto il talento del Barcellona: oro. Se d’oro è il pallone, vuol dire che c’è di mezzo Leo Messi che due settimane fa ha conquistato il sesto della sua carriera. Con il Barcellona incanta – eccome se incanta- soprattutto nelle notti europee. Al festival del gol (anche se quest’anno i blaugrana hanno brillato più per la difesa con appena 4 gol incassati che per l’attacco, 9 quelli realizzati) si aggiungono Luis Suarez e Griezmann, arrivato in estate dall’Atletico Madrid e che si è inserito alla perfezione nello spartito già ampiamente collaudato da Valverde. Non solo il francese, però, perché dall’Ajax è arrivato anche De Jong, l’ennesimo olandese con il calcio del tiqui taca nel sangue. Frankie ha appena 22 anni ma con quei piedi che si ritrova è capace di incantare il mondo: centrocampista ultra moderno, capace di fare alla grandissima entrambe le fasi e non a caso si è subito inserito nel già collaudato sistema di gioco del Barcellona. Il mercato di gennaio, però, potrebbe sottrarre alla rosa Vidal (che piace all’Inter) e Todibo (che piace al Milan), ma qualora dovessero partire sarebbero certamente ben rimpiazzati. Da capire anche quelle che saranno le sorti di Dembelè e Arthur, due giovani arrivati a Barcellona con il marchio a fuoco dei predestinati, ma attualmente non ancora pervenuti del tutto. Prestazioni alterne e vicende extracampo non del tutto eccezionali ne hanno fin qui minato di molto il rendimento.
UNA FOTO DALLA PANCHINA
Ernesto Valverde ha riposto nel cassetto gli appunti di tiqui taca che avevano portato sul tetto d’Europa e del Mondo il Barcellona di Raijkard prima e Guardiola poi. Il suo gioco è più pratico e meno spettacolare. Passa inevitabilmente dalle giocate decisive di Messi e dai gol di Suarez, ma è soprattutto verticale e meticoloso. L’allenatore (con l’hobby della fotografia in bianco e nero) del Barcellona è uno che passa gran parte della sua giornata a studiare: i suoi schemi, ma anche quelli degli avversari. Il Napoli, nel caso di specie, lo conosce bene perché era alla guida dell’Athletic Bilbao quando nel 2014 fece fuori gli azzurri di Benitez ai preliminari di Champions. «Madonna di Begona? Ho fatto un voto, in cambio ho chiesto i tre punti in campionato e di passare il turno contro il Napoli in Europa», aveva dichiarato prima della doppia sfida e gli andò decisamente bene. La sua panchina al Barcellona (dove ha anche giocato seppur solo 22 gare a causa di infortuni sotto la gestione Cruijff) ha traballato e non poco lo scorso anno, quando fu clamorosamente buttato fuori dal Liverpool in semifinale dopo la rimonta dei Reds nella gara di ritorno. A salvarlo fu lo spogliatoio, compatto nel volerlo ancora. Ma l’impressione è che questa possa essere davvero la sua ultima stagione in Catalogna. Gli piacerebbe chiudere in bellezza, cosa che vorrebbe dire passare almeno gli ottavi di Champions, visto che al Barcellona non capita di finire fuori al primo turno a eliminazione diretta dalla stagione 2006-07 contro il Liverpool. Non ci sono precedenti, invece, in ambito internazionale tra il Napoli e il Barcellona. Le due squadre si sono affrontate solo in amichevole (le ultime due quest’estate negli States) e il bilancio è nettamente in favore degli spagnoli: 3 vittorie e 1 sconfitta.