Il Napoli e il modulo che non c’è: Fabián simbolo dell’era Ancelotti


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Uno, due, tre, quattro. Anzi: un, dos, tres, cuatro in questo caso. Come i passi di una danza sfrenata, il ripetersi ciclico di un movimento così naturale da sembrare quasi semplice agli occhi di chi guarda. Under per primo, poi De Rossi, Manolas e Juan Jesus, tutti rimasti al palo di Fabián Ruiz, l’uomo del momento in casa Napoli. Tanto bravo da prendersi gli applausi e addirittura farsi perdonare quando, sul più bello, invece di provare a far male ad Olsen serve il pallone ad Insigne, non rapidissimo nel cercare la porta sciupando tutto.

È lo spagnolo arrivato dal Betis l’uomo che meglio incarna il «nuovo» Napoli ancelottiano. Carletto si affida a lui per far saltare il banco, sempre più presente dopo i problemi fisici di inizio anno, utilizzandolo in tutti i ruoli della mediana. Contro la Roma è partito da esterno del centrocampo a quattro, un ruolo che ha solo in fase di non possesso. Come accaduto già a Parigi, quando sono gli avversari a gestire la palla Fabián agisce da estremo sul lato mancino del campo, abile a chiudere vuoi su Meunier vuoi su Santon, come in occasione della gara di ieri.

Ma il 4-4-2 si abbandona quando la palla è tra i piedi del Napoli. Lo spagnolo ama condurre l’azione offensiva, non va mai sul lato ma anzi cerca il centro del campo quasi fosse un trequartista lasciando spazi vuoti per gli inserimenti sull’out mancino di Mario Rui. «Quando abbiamo palla lui si accentra e crea, quando difendiamo si sposta a sinistra» ha spiegato con semplicità Ancelotti al fischio finale. Fabián è diventato simbolo del Napoli che ora uno schema fisso non lo segue più, abile a riproporsi in modo diverso ad ogni azione. 

E infatti Carletto gli cambia ancora ruolo prima del fischio finale. Al minuto 75 entra in campo Zielinski, il polacco veste i panni di Fabián e l’ex Betis si «trasforma» in Hamsik, appena uscito, agendo da regista. Lui e Allan si alternano nelle proposizioni offensive e occupa una zona di campo arretrata dettando il tempo del gioco ai compagni in ogni azione. Piotr e Callejon convergono verso il centro, Mario e Rui e Malcuit, altro subentrato, cercano la superiorità sulle corsie del campo.

Simile è ciò che accade dall’altro lato del campo. In fase difensiva anche Callejon fa lo stesso lavoro del connazionale: spinge, corre, alza il pressing dei suoi e dà pure una mano al terzino in fascia. Poi, però, si reinventa: quando in campo c’è una prima punta di fisico come Milik, si alza in continuo contro-movimento agendo da terzo attaccante a destra e andando a comporre il 4-3-3 di sarriana memoria.
Quando invece in campo c’è Mertens, l’intero attacco del Napoli diventa un rebus per gli avversari: il belga e Insigne svariano molto, spostandosi da un lato all’altro e lasciando spazio agli inserimenti dei compagni. Per José il lavoro è ancora più divertente, veste i panni del rifinitore e mostra i movimenti da prima punta. Ieri, da un suo inserimento, una grande palla gol salvata da Olsen e poi il gol di Mertens al 90°.

Ma la duttilità di questo Napoli non si è avuta solo sopra la cinta perché la trasformazione migliore, soprattutto nelle ultime notti di Champions, si è vista in difesa. Protagonista assoluto è stato Nikola Maksimovic, ieri in panchina con la Roma ma titolare nei due big match contro Liverpool e Paris Saint Germain. Ancelotti gli ha dato fiducia senza preoccuparsi e ha usato il serbo nella doppia veste da «finto» terzino e «vero» centrale. Abile a dare una mano in copertura in entrambe le fasi di gioco.

La difesa del Napoli si trasforma a seconda dei momenti della gara. A quattro se gli avversari provano a schiacciare gli azzurri, hanno il pallino del gioco o c’è da cominciare l’azione. A tre quando c’è bisogno di alzare i ritmi. Il 4-4-2 (FOTO 5) si trasforma così in un più camaleontico 3-5-2: Callejon e Mario Rui diventano esterni a tutta fascia, Hamsik, Allan e Fabián (i titolari al Parco dei Principi) comandano il punto nevralgico del campo. Una mossa tattica che ha permesso prima di ingabbiare Klopp e poi di spaventare Tuchel a Parigi, segno delle grandi abilità di Ancelotti e della duttilità di un gruppo che sembra ormai aver dimenticato l’integralismo degli ultimi anni.

From: Il Mattino.

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