Caro Maurizio,
mi permetto di darti del Tu perché la semplicità e la spontaneità del tuo marchio di fabbrica da ‘allenatore con la tuta’ e senza spocchia sono tra le qualità che più ci hanno conquistato. Lo so che non ami e non frequenti molto i social ma come potresti leggere nella mia nota di presentazione al tuo primo campionato sulla panchina azzurra, sono stato tra i pochissimi ad accoglierti senza diffidenza sin dal primo giorno. Tra i pochissimi a considerare un passo avanti l’arrivo del maestro di provincia al posto del manager internazionale. Perché dai campetti della provincia si arriva con tanta fame e con l’umiltà di voler crescere. Nel contempo, però, sono anche rimasto tra i pochi a non ammalarsi del sarrismo integralista che ha poi colpito anche gli scettici della prima ora. Ho sempre registrato con libertà di pensiero ed onestà intellettuale gli eccessi del conservatorismo del tuo credo rivoluzionario (un pericoloso ossimoro) che ha comportato (con dati incontestabili) un coinvolgimento troppo limitato delle diverse potenzialità della rosa e soprattutto dei giovani calciatori e un eccesso di immobilismo tattico spesso nocivo.
Un esempio su tutti: qualsiasi allenatore del calcio moderno insegna più moduli alla sua squadra affinché possa mutare pelle in corso d’opera a seconda delle situazioni come quando devi affrontare una squadra ridotta in nove uomini e sono chiaramente inutili quattro difensori o come quando devi affrontare una piccola squadra che mette dieci giocatori nella propria metà campo e devi escogitare assolutamente un piano B. Ma veniamo all’attualità e pensiamo al futuro che è quello che più ci sta a cuore. Oggi per te è un compleanno importante. Cento panchine azzurre. Con molte gioie figlie dello spettacolo degli oltre 200 goal realizzati e qualche dolore figlio dei 98 goal subiti (prendere un goal a partita è una media inaccettabile per una squadra di vertice) ma soprattutto figlio di un senso di arrendevolezza alla vittoria finale che non si può giustificare con la solita fiaba dei fatturati. Ora siamo al punto di svolta. Crescere e vincere o restare per sempre belli e perdenti come lo sono stati molti dei santoni dell’estetica del calcio da Zeman ad Orrico, solo per restare in Italia. Il mondo cambia in fretta e così gli equilibri del calcio. Quest’anno ci sono molte coincidenze da cogliere. Soprattutto l’inevitabile logoramento della Juventus alla prova della crisi del settimo anno al vertice o l’impoverimento tecnico della Roma che ha dovuto improntare il suo mercato soprattutto all’attenzione al bilancio. Già l’anno prossimo gli equilibri potrebbero cambiare e le ‘milanesi cinesi’ potrebbero essere diventate ben amalgamate ed ancor più ricche di acquisti. E allora non bisogna avere paura di dire che questo può e deve essere l’anno buono. Non si deve aver paura dei riflettori puntati addosso perché ce li siamo meritati grazie al tuo ottimo lavoro sul campo. Ora, però, come ti suggerivo esattamente due anni fa alla vigilia del tuo esordio col Sassuolo, mostrando una delle tante foto che impazzavano sui social affiancandoti per una suggestiva somiglianza al Fortunato Cerlino di “Gomorra”, è giunto il momento di diventare un po’ più “Don Pietro” anche e soprattutto fuori dal campo. Coraggio Maurizio. Sappiamo che non ti piace fare il manager all’inglese e che il mercato non ti diverte ma lunedì chiama il presidente e con l’autorevolezza dei risultati raggiunti pretendi qualche altro squillo di mercato. Coraggio Maurizio. Prova ad avere uno stile di comunicazione meno giustificazionista e minimalista e vedrai che si sentiranno responsabilizzati di più anche i calciatori. Coraggio Maurizio. Impara ad essere maestro di lettura delle partite anche in corso d’opera (con qualche cambio più tempestivo e con qualche adattamento più pragmatico) e non solo sagace allenatore in settimana. Coraggio Maurizio. Ti aspetta una nuova rivoluzione in tre semplici mosse. Una rivoluzione che stavolta ti farebbe entrare nella storia come succede soltanto a chi scolpisce il proprio nome in un albo d’oro e non soltanto in un immaginario collettivo.
Roberto Conte
From: Il Mattino.