Inglese, dalla gavetta infinita alla sorpresa del sogno napoletano


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Lo chiamano Bobby English e detesta tutti i giochi di parola intorno al suo cognome. Roberto Inglese, attaccante del Chievo, 26 anni a novembre, 12 gol la scorsa stagione (10 in serie A), una rete all’Udinese nella prima di campionato quest’anno, è stato uno dei volti emergenti del nostro calcio. Si dirà: a 26 anni si è qualcosa in più di una promessa. È vero, ma Inglese è fatto così: arriva piano piano agli obiettivi ma ci arriva sempre. Il Napoli lo ha pagato 10 milioni, più due milioni di bonus che scatteranno nel momento in cui indosserà la maglia azzurra. Quando? Beh, non è escluso che possa accadere anche a gennaio. In caso di necessità, meglio tutelarsi. Perché De Laurentiis è stato chiaro con Campedelli ed è pronto a riportarlo nella sua nuova casa madre in caso di necessità. L’accordo con il Chievo prevede questa eventualità. 

Ma nessuno esclude neppure che possa essere impiegato come pedina di scambio per arrivare a uno tra Berardi e Chiesa, visto che Bobby è uno che piace davvero a tutti in serie A. Tutte le piste sono aperte. È chiaro che l’acquisto di Inglese apre le porte a una nuova politica societaria del Napoli che prende i giocatori e li lascia nella società di provenienza. Cosa che avrebbe, probabilmente, dovuto fare anche con Grassi quando è stato preso dall’Atalanta. D’altronde, bisogna far di necessità virtù: fosse approdato adesso alla corte di Sarri, avrebbe rischiato di fare la stessa fine di Pavoletti e Gabbiadini, ovvero quella di non giocare praticamente mai.

Inglese esplode a Carpi, dove lo scova Cristiano Giuntoli che inizia a monitorarlo a inizio 2012, durante un Taranto-Lumezzane in cui Inglese gioca meno di 30 minuti ma più che sufficienti per attirare l’attenzione del ds azzurro. È un attaccante vecchia maniera che nel Chievo di Maran, una squadra fatta di eterni gregari e portatori d’acqua, trova la sua consacrazione. «È strutturato, ben messo fisicamente. Molto intelligente sotto il profilo tattico» spiega Castori, il tecnico con cui ha festeggiato la promozione in serie A con il Carpi. 

Nato a Lucera, cresciuto a Vasto (provincia di Chieti), alla prima da titolare con il Chievo, contro la Samp, nel novembre del 2015, ha fatto gol. Fino a quel momento Maran lo aveva fatto giocare in tutto quattro spezzoni di partita, per un totale di 42 minuti. Da piccolo tifava per il Milan, ma giura di non aver mai avuto un idolo tra i bomber degli anni 90. «Ma adesso mi piace Higuain». Da queste parti, meglio che non lo dica più.

Mamma Rosalba è casalinga, papà Antonio è stato autista di bus di linea. Comincia a giocare nel Vasto, poi passa al Pgs Vigor e alla Virtus, fino ad arrivare al Pescara. Il club lo fa studiare fino alla maturità e alla fine c’è anche l’esordio in Lega Pro con Di Francesco. Nel 2010 debutta a 18 anni in B e viene subito comprato dal Chievo: sembra un predestinato. Invece passa cinque stagioni in prestito. Va a Lumezzane e poi a Carpi, proprio con Giuntoli direttore sportivo. A Lumezzane inizia a giocare con continuità in Lega Pro e fa 11 gol. Al Carpi, il primo anno, si rompe la spalla. L’anno dopo festeggia la storica promozione dei carpigiani in A, segnando 6 gol. In serie A debutta a 24 anni, non proprio un giovincello. Gioca col 45 come Balotelli. «Ma Mario non c’entra nulla. Il 9 era occupato allora ho sommato il 4 e il 5». Una prima punta classica, forza fisica e voglia di sacrificio. Pellissier è il suo punto di riferimento. 

Ventura lo convoca per due stage dell’Italia: con la maglia azzurra della Nazionale non ha mai giocato neppure nelle selezioni giovanili. Ha i profili social ma non sono pubblici, ovvero solo i suoi amici più stretti possono comunicare con lui. «È simile a Milik ma neppure a lui può essere avvicinato», continua ancora Castori che a Carpi lo ha allenato e fatto crescere. 

From: Il Mattino.

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