Kouame, dall’Africa al sogno Napoli: «E nessuno voleva prenderlo»


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«Me lo rimandavano tutti indietro: prima il Sassuolo e poi
l’Inter. Pochi mesi e via. Lo proposi anche alla Juve ma mi
dissero che non era per loro. Ma io sapevo che quel ragazzo ne
aveva di qualità». Paolo Toccafondi, presidente del
Prato, non è sorpreso neppure dal prezzo: «Io l’ho
venduto per poco al Cittadella, il grande colpo lo hanno fatto
loro». Aveva appena 13 anni quando lo ha scoperto in Costa
D’Avorio, su un campo di Abidjan, una popolosa città
ivoriana dove ha anche sede l’accademia del calcio locale.
Kouame fa parte di una nidiata di ragazzini che Toccafondi decide
di sottoporre a un provino. Era con il suo socio ed ex calciatore
Akassou e rimase colpito dal piccolo Christian che ha portato in
Toscana al termine di quel test. A Prato ha una seconda casa,
tant’è che proprio a Capodanno è tornato per
festeggiare le feste con i suoi vecchi amici. Prato è anche
la città di Cristiano Giuntoli che dunque è da un bel
po’ di tempo che ha sentito parlare di questo piccolo gioiello
del calcio africano che ha ovviamente Eto’o come idolo.

21 anni a dicembre e da settembre è papà. Il figlio
è nato mentre lui scendeva in campo contro il Bologna, di
domenica. Perché i gol più belli un attaccante non
può che farli in un giorno di festa. «Sono entrato in
campo e mi sembrava di volare. Di solito vado a mille all’ora,
quella volta andavo a duemila. Alla fine ho fatto la doccia in due
minuti, sono andato via subito dallo stadio. Di corsa a Parigi, dal
mio Michael Joah e dalla mia compagna», ha raccontato in
lacrime. In serie A ha segnato solo tre reti e ogni volta ha
festeggiato imitando un gruppo musicale della Costa d’Avorio.
Lì nel Genoa ha trovato l’ambiente ideale per
completarsi: perché il club di Preziosi è una
macchina perfetta in termini di organizzazione societaria.

Ovvio, crescere in Costa d’Avorio non deve essere stato
semplice. Giocava con la maglia di Maradona per le vie di Abidjan e
per il padre la cosa più importante era lo studio. Prima di
partire per l’Italia c’era una finale di quartiere che il
ragazzino voleva giocare a tutti i costi. Il padre
s’impuntò e gli vietò di giocarla, per timore che
si potesse far male. Al campo ci andò di nascosto. E quando
tornò aveva la coppa in mano.

From: Il Mattino.

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