«Ma quale razzismo? Noi polentoni, voi terroni», così risponde la curda Nord dell’Atalanta alla decisione del giudice sportivo, che ne ha decretato la chiusura per un turno. Perché quella strana vittoria della scorsa domenica è stata sicuramente bella ed emozionante, ha portato conferme ed ha finalmente sfatato il tabù della bestia nera proprio in un orario scomodo e al rientro dalla sosta; ma è stata accompagnata anche da tristi episodi. Quel «buuu» urlato dallo stadio di Bergamo contro Kalidou Koulibalì ha lasciato un’immagine amara di una bella giornata di sport. Ma i bergamaschi vogliono levarsi di dosso questa etichetta: «L’ipocrisia che negli ultimi anni accompagna il mondo del calcio sta toccando livelli davvero imbarazzanti ed, ora, addirittura offensivi verso una tifoseria intera. Si perchè definire la tifoseria atalantina razzista è offensivo verso le migliaia di ultras e simpatizzanti che mai negli anni hanno dimostrato discriminazione verso il colore della pelle. I fischi e i “buu” si facevano negli anni a Totti, a Del Piero e ad altri giocatori solo per rivalità calcistica, per ciò che rappresentavano; non per il colore della pelle», scrive nel comunicato ufficiale la curva Nord.
Niente di specifico nei confronti del senegalese del Napoli, spiegano. Eppure in molti ricordano ancora quei lanci di banane in campo verso Constant, qualche anno fa. Ma questa volta, seppur il giudice sportivo ha definito «chiari cori razzisti» quelli ascoltati a Bergamo, il tifosi della curva chiusa non sono d’accordo e continuano a dire la loro: «Come può essere razzista una Curva che negli ultimi dieci anni ha raccolto circa 90.000euro per sostenere un centro riabilitativo per bambini in Ruanda? Come può essere razzista una tifoseria che ha raccolto 20.000 euro per lo tsunami che ha colpito il Sud-Est asiatico nel 2014? Il campanilismo fa parte della nostra storia calcistica, ma prima di tutto sociale, ed allo stadio la si vive con grande passione. Accusiamo altri di razzismo quando ci danno dei contadini che zappano la terra? Noi siamo orgogliosi di essere umili ma concreti, proprio come il nostro popolo. Essere tacciati di razzismo ci ferisce nell’orgoglio, ben consci di non essere caduti nelle provocazioni di miliardari arroganti che giocano a fare gli uomini».
Ricordano invece storie diverse: «La nostra terra ha sempre accolto con calore tutti. Da Makinwa (che qualcuno voleva nominare addirittura Sindaco) passando ad una bandiera che la scorsa stagione ha lasciato il calcio. Parliamo di Giulio Migliaccio, nato a Mugnano di Napoli, orgogliosamente partenopeo ma adottato da noi atalantini. Un uomo che, ancora oggi, viene visto come un esempio di serietà e professionalità in campo e fuori. E basta guardare le sue lacrime per capire quanto Bergamo gli abbia e gli voglia davvero bene. Non accettiamo l’etichetta di razzisti ma rivendichiamo di poter vivere le nostre rivalità calcistiche e di campanile con fantasia e libertà. Senza ipocrisie!Curva Nord Bergamo 1907».
Non è la prima volta che Koulibaly riceve trattamenti simili: anche l’Olimpico fu palcoscenico di cori discriminatori contro il difensore, nel match con la Lazio. «Il problema del razzismo continua ad essere presente negli stadi in Italia, sembra che la Federazione non riesca a trovare una soluzione», aveva affermato Bruno Satin, agente del centrale azzurro. Eppure Kalidou continua a testa alta la sua battaglia contro il razzismo, esponendosi a favore dell’uguaglianza e partecipando a diverse campagne sociali per lanciare il suo messaggio oltre i vergognosi episodi che tutt’oggi,nel 2018, ancora esistono. Ed è questo il suo modo di rispondere all’ignoranza: un sorriso e parole d’amore, mentre in campo lascia vedere tutta la sua forza.
From: Il Mattino.