Lobotka, il macchinista azzurro a Liverpool non sbanda


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Stanislav Lobotka è il piccolo grande macchinista o timoniere o cervello o moloch o motore, e si potrebbe continuare a lungo. Ogni pallone passa dai suoi piedi. E se ogni azione nel Liverpool viene stoppata da Anguissa e Ndombele che fanno muro, la riorganizzazione delle palle conquistate spetta sempre a Lobotka, che se serve dribbla, indietreggia oppure fa la porta girevole e si invola. La sua capacità di strappare a centrocampo è pazzesca ed evoca solo grandi esempi. Possiede la capacità dell’inganno della difesa del pallone e la visione nella distribuzione, corridoio, arcobaleni, rette, questo è il catalogo delle metafore per gli spazi di libertà inventanti, le sciabolate per il cambio campo o i passaggi sui piedi per le ripartenze.

La rapidità di pensiero è enorme come la precisione di appoggio, e sono andate crescendo e lasciano sospettare ancora una vetta più alta, perché ad ogni partita c’è sempre un pizzico di stupore in più. Lobotka pianta bandiera col pallone, come se il centrocampo avversario fosse una cima da prendere, e lui lo fa, un passo alla volta, un respiro in meno e una finta in più e poi oplà eccolo padrone della metà campo, a infondere certezza a fare da vertice delle triangolazioni per poi creare cateti e ipotenuse, quadrilateri che poi si richiudono su di lui, un cursore irrefrenabile, con una inquietudine da beat generation. Lobotka è una delle certezze di questo Napoli, onnipresente e silenzioso, pronto all’azzardo per aprirsi a ventaglio e scombussolare due reparti avversari su tre. Geometrico, ossessivo, educato. Accudisce palloni con inganno e finta, indietreggio e fuga, giravolta e scatto.

Ogni volta cambia, ogni volta ripete la magia ipnotizzando l’avversario e liberando il compagno di squadra. Irrinunciabile. Diga e rovescio. E, infatti, quando esce, il Napoli perde un grado di pensiero, si abbassa di un processo, si ridimensiona cartesianamente, e diventa più vulnerabile, più facile da capire, più semplice da insidiare. Lobotka è la nitidezza del pensiero, ogni volta che avanza e dribbla genera una liberazione di possibilità, e se serve, proprio in fondo in fondo, se non c’è nessuno da servire o si apre lo specchio: lui tira e segna, ma vive la cosa come un servizio mancato. Perché sembra godere solo dell’assist, del farsi sicurezza e idea, soprattutto, per poi lasciare segnare gli attaccanti.

Ogni cosa a suo posto. È uno così. Amministra ma non cincischia, indietreggia ma solo per prendere la rincorsa e aprire il varco giusto, curva e stacca per pensare, e poi lasciar partire il passaggio giusto, il tocco che permette l’ariosità del gioco che sia fascia o zona centrale, a Lobotka interessa solo la perfezione dell’appoggio, la bellezza del passaggio, l’invenzione e l’esecuzione. Il resto sono due gran polmoni, e un palleggio da fare invidia, anche se tutti guardano “solo” quello di Kvaratskhelia. La sua funzione è il ragionamento, prende e dà il tempo, genera e riduce, cuce e apre, in un continuo prendere e restituire, scippare e rilanciare. Una molla col pallone, e una molla anche senza, perché deve coprire grandi spazi e bordeggiare l’ubiquità.

Non ha crudeltà, ma freddezza, gestisce la migrazione dei palloni napoletani e interrompe quella degli inglesi. E quando esce, dispiace sempre, anche se prima o poi deve riposarsi. È un commesso viaggiatore, sempre in transito, a volte sembra di vederlo oltre che col pallone, fuori dal campo con una carta geografica in mano: immaginando le rotte da compiere, campi come continenti. Non sbanda mai, mentre traccia da amanuense del palleggio le linee nel Napoli.

From: https://www.ilmattino.it/sport/sscnapoli/napoli_liverpool_lobotka-7026111.html

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