«Ciao Paisà, gli dicevo. E lui mi guardava torvo». La voce è quella inconfondibile e storica di Ezio Luzzi, “il disturbatore” di Tutto il calcio minuto per minuto. E il “Paisà“ era Diego Armando Maradona. «Solo volo di andata verso Stoccarda, dove il Napoli avrebbe giocato e conquistato la Coppa Uefa nel 1989, Diego mi affrontò. “Figlio di puta, ma perché mi pigli per il culo e mi chiami paisà?”, e a quel punto feci chiarezza spiegandogli che era vero, perché io sono nato a Sant Fé, in Argentina come lui, e gli feci addirittura vedere la carta di identità. A quel punto siamo diventati amici».
Questo ma non solo nel suo libro «Tutto il mio calcio minuto per minuto» (Baldini + Castoldi, euro 18.00, pagine 230). Perché Ezio Luzzi si racconta e ci racconta un’epoca del pallone che ora ci sembra lontana anni luce. Dall’esperimento nato in vista delle Olimpiadi di Roma nel 1960 ai 60 anni compiuti nel 2020 dalla trasmissione radiofonica più amata dagli italiani. Nelle pagine del libro ci sono la gavetta, le prime indimenticabili esperienze sul campo con il microfono e le cuffie, i racconti di tonfi e trionfi, tutto raccontato con l’amore e la passione di chi ma messo la propria vita a disposizione di una passione. «La serie A spezzatino all’inizio andava bene, ma vedo che adesso tutti hanno ripreso a pensarla all’antica: quando alle 14.30 andavano in scena tutti dalla serie A ai dilettanti: tutti protagonisti».
E tra qui protagonisti, ovviamente, non poteva mancare il Napoli. «Capisco perfettamente l’animo dei tifosi azzurri per la morte di Maradona: Diego ha dato tutto al Napoli e il suo ricordo ha accompagnato tutta la mia carriera in quello stadio che ora è giustamente dedicato a lui. Una presenza costante, dai fasti della serie A ai momenti più difficili come fallimento e retrocessioni. Di quello stadio porto nel cuore quelle radiocronache sempre gioiose, quando intorno a me era sempre una festa. Tutti che cantavano O’ surdat’ ‘nnammurat. Sono cose che non te le cancella nessuno». E poi c’è Diego, che Luzzi ha conosciuto, ma non solo. «Mi disse per primo che sarebbe venuto a giocare a Napoli. All’epoca era ancora con il Barcellona ed eravamo negli Stati Uniti per una tournèe. E sempre a me disse della mano de Dios. Nello spogliatoio dell’Azteca ci fede entrare Carmando: eravamo solo Galeazzi, Maradona ed io, senza dover aspettare che Diego parlasse prima con gli argentini».