La sua partita, scriviamo e diciamo dal giorno del sorteggio. Messi a Napoli, nel tempio di Maradona. Una fortissima suggestione anche per Diego, che intanto si sta dedicando anima e corpo al Gimnasia La Plata, la squadra che allena dallo scorso ottobre. Ha vinto la partita con l’Independiente e ha ritrovato il sorriso, dopo giorni di sofferenza. Lui non sarà mai un nemico per buona parte dei club argentini e delle loro tifoserie e anche sabato è stato festeggiato dai suoi avversari. E ora c’è questa partita di Champions League, il Napoli contro il Barça, le squadre in cui Diego ha giocato dal 1982 al 1991. «Ma io non ho dubbi: il mio cuore è con Napoli e i napoletani, soprattutto in questa difficile sfida», la confidenza raccolta da Stefano Ceci, il suo assistente napoletano, un grande tifoso che è diventato segretario e consigliere, seguendo Diego in giro per il mondo. Stasera Napoli–Barça, poi domani ci sarà la partita contro il Barracas e l’allenatore del Gimnasia vorrebbe regalarsi un’altra vittoria.
Lo prese Gaspart, vicepresidente del Barcellona che non avrebbe voluto cederlo al Napoli due anni dopo. «Giocavo nel Boca Juniors, quel grandissimo club mi consentì di arrivare in Europa, un sogno per tutti i giovani calciatori argentini. Pensavo a un altro tipo di storia, invece ho dovuto affrontare gravi problemi fisici per l’operazione alla caviglia dopo lo scontro con Goichoechea e l’epatite virale». Ma non fu quello che spinse Diego, allora assistito dall’amico d’infanzia Jorge Cyterszpiler, a chiedere con forza di andar via dopo due anni, aprendo al Napoli. Pesò l’ostile atteggiamento di un’ampia parte della tifoseria. «A Barcellona gli argentini sono definiti “sudacan”, quelli del Sud, in tono dispregiativo». Diego non lo ha mai dimenticato.
Nell’autobiografia scritta dal giornalista argentino Daniel Arcucci il più grande calciatore al mondo ricorda i giorni del “traspaso” al Napoli, dell’abbraccio dei sessantamila al San Paolo il 5 luglio dell’84, di una storia d’amore irripetibile. «Io ho dato tutto a Napoli e Napoli, sotto l’aspetto affettivo, mi ha dato tutto». Non si meraviglia, Diego, quando Ceci lo informa dei cori dei napoletani davanti all’hotel che ospita il Barcellona. Cori per Maradona e cori per Messi. «Ci siamo innamorati a vicenda, in quegli anni io riuscii a vincere per il Napoli e per l’Argentina, portandola al titolo di campione del mondo. Gli scudetti e la Coppa Uefa furono una rivincita del popolo». Quel popolo che lo seguì con passione per sette anni, non cancellandolo dal cuore e dai pensieri quando fu travolto dalla droga e sfiorò la morte. Il rapporto è rimasto saldissimo. E Diego non ha incertezze alla vigilia di questa grande sfida: «Il Napoli sta attraversando una stagione complicata, dopo 15 anni vive la stagione più difficile della stagione De Laurentiis. Gattuso si sta confermando un grande uomo di spogliatoio, però c’è un ciclo da riaprire e non sarà facile. Durissima la sfida col Barcellona, ma nel calcio i pronostici si ribaltano. E allora la mia speranza è che il Napoli faccia una grande sorpresa e renda felice il suo popolo».
Insiste. Dice “popolo”, non “tifoseria”. C’è una differenza sensibile. Per un popolo l’idolo resta tale, non sfuma nel tempo. E idolo resterà anche Messi per il Barcellona, per quella squadra dov’è arrivato quindicenne e con problemi fisici. Maradona ne è stato l’allenatore nella Seleccion, un’esperienza amaramente terminata ai Mondiali in Sudafrica. «Spero che non faccia grandi giocate a Napoli», il sospiro di Diego, che mette da parte per questa volta il profondo affetto verso Messi. Che è inseguito, anzi schiacciato, dal paragone con il 10 della Seleccion che vinse il secondo e ultimo Mondiale nell’86. «Grandissimo talento, bravissimo ragazzo, ma vogliono caricarlo ingiustamente di un peso. Lui deve fare la sua carriera e la sua vita, sapendo che è il più grande calciatore in circolazione. A cosa servono questi paragoni che si fanno da quasi vent’anni? Ho un bellissimo ricordo di Leo nel periodo della Seleccion, era un divertimento vederlo in allenamento e in partita». Le parole che hanno usato negli anni tutti coloro che hanno avuto la gioia di assistere agli show di Diego sul prato del Centro Paradiso e al San Paolo. La storia d’amore tra Maradona e il Napoli s’interruppe per la squalifica del ‘91, però due anni prima Diego aveva chiesto a Ferlaino di concedergli la possibilità di andare altrove, a Marsiglia. E Messi? Il suo contratto non sembra così inattaccabile, dopo gli scontri a distanza con i dirigenti. «Ma Barcellona è l’habitat naturale per Leo: ha iniziato qui e qui finirà».
Tre anni fa Maradona fu al fianco degli azzurri a Madrid prima della sfida contro il Real al Bernabeu. Ospite di De Laurentiis, partecipò al pranzo tra i due club e parlò ai giocatori e a Sarri negli spogliatoi, prima di quella partita persa per 3-1 che fece scattare il presidente contro l’allenatore. Sembrò il preludio a una collaborazione tra il Napoli e il suo vecchio capitano, che in quei giorni era in attesa di un’occasione professionale. Ceci mise intorno a un tavolo De Laurentiis e Maradona, però il discorso non è andato avanti. Diego non aspirava a un incarico onorifico, ad esempio quello di ambasciatore del Napoli nel mondo. Ne avrebbe voluto uno operativo, per seguire la squadra da vicino. «Perché il campo e lo spogliatoio sono la mia vita». Realizzò un sogno nel 2008, quando gli affidarono la panchina della Seleccion, e un altro coltiva quasi in segreto, per non turbare chi allena gli azzurri. «Non avrei mai un dubbio tra Napoli e Barcellona». Per una partita come per una panchina.