Inviato a Barcellona
«Reduir la mobilitat». Appena usciti da El Prat, l’aeroporto internazionale che a luglio ha visto un calo di arrivi di oltre l’80 per cento, il bus del Napoli ha incrociato le scritte delle autorità catalane. Non veri e propri divieti, ma solo suggerimenti. Diremo, una nostra fase 2, tipo maggio, per fare il giusto paragone. Solo che la paura qui ha, ovviamente, il sopravvento su ogni cosa. L’hotel del Napoli è un 5 stelle con vista sul porto e a pochi passi dal villaggio olimpico. È inavvicinabile, sia per i protocolli sanitari locali, sia per il cordone di sicurezza della Uefa. Che qui si gioca tanto anche sotto il profilo dell’immagine. E non solo per le minacce di De Laurentiis: «Dovesse succedere qualcosa, scatenerò l’inferno». Si sa che in tanti credono che l’Uefa abbia commesso un errore a far giocare sia Atalanta-Valencia che Liverpool-Atletico Madrid a porte aperte. E molti spingevano perché la gara di questa sera si giocasse a Lisbona. Era una questione di logica, visto che tra sei giorni il gotha del calcio europeo andrà lì. Eppure, il Barcellona ha voluto che si giocasse qui. La partita è blindata. Come l’albergo del Napoli. Ogni calciatore ha una sua stanza, lo staff è limitato e non tutti i dirigenti sono al seguito, anche perché gli organizzatori hanno ridotto i pass all’essenziale. Assente il presidente De Laurentiis.
Questa è la città della movida, del cuore che balza alla gola per le emozioni che sa regalare. Attorno a ogni cosa c’è invece solo desolazione. Non solo attorno al Camp Nou, d’altronde sorge in un quartiere residenziale che ad agosto ovvio che si svuoti. Nei quartieri eletti dai visitatori come destinazione privilegiata di quello che una volta era una specie di luna park Barcellona, dal Barri Gòtic alla Sagrada Familia alla Barceloneta, c’è il deserto. Nulla qui è quello che uno pensa sia Barcellona. La Generalitat, peraltro, intende estendere la chiusura dei locali notturni. Qui dove le notti ad alto tasso alcolico e musica a tutto volume sono la regola da giugno a settembre le saracinesche si abbassano a mezzanotte, che è un po’ come chiudere i locali del lungomare di Napoli alle 20. Ovviamente il popolo che vive di notte è in subbuglio perché tutto il mondo è paese. Ma per almeno altre due settimane, scatterà questa sorta di coprifuoco. Si gira con le mascherine anche all’aria aperta, ma non c’è uno stato di polizia: pochi i controlli, pochissime le sanzioni. Ci si affida al buon senso. Alessandra Di Pippo, il console italiano a Barcellona racconta il momento: «Hanno deciso di gestire questo momento particolare con delle restrizioni che limitino le possibilità di contagio. Per esempio, anche sulle spiagge si entra a numero chiuso, con controlli agli accessi. In questa città che vive di turismo, i dati di giugno dicono che c’è stata una perdita del 97,7 per cento degli afflussi. Il Napoli? Vivrà come in una bolla, isolato».
Il tassista Albert si lamenta: «Non c’è tutto questo pericolo, allo stadio in 40 mila si poteva andare tranquillamente, i posti sono numerati». La crisi bussa alla porta: il turismo è una preziosa fonte di entrate che porta 25 milioni di euro al giorno in una città di un milione e mezzo di abitanti con 27 milioni di visitatori l’anno. Nel 1991, alla vigilia dei Giochi Olimpici che segnarono l’inizio della grande trasformazione di Barcellona, i turisti erano appena un milione e 700mila. Si è tornati indietro nel tempo. Molto indietro.